venerdì 20 gennaio 2012

Ballando ballando

                                              
Piove senza interruzioni da due giorni, e l'acqua ha trasformato le traverse di Montmartre in un intrico di ruscelli fangosi.
I rivoli s’incrociano, ingrossano, acquistano velocità e si trasformano in grigie cascatelle mormoranti giù per i gradini della lunga scalinata dove arranca Maùrìce, il bavero dell'impermeabile alzato sotto l'ombrello grondante.
Cammina con passo veloce, leggermente piegato in avanti, gli occhi attenti a scansare almeno le pozzanghere più grosse, nelle quali si riflette la luce tremolante dei lampioni che illuminano la strada lucida di pioggia.
E' in ritardo Maùrice, e lo sa. E gli secca tremendamente essere in ritardo, ma gli secca ancor di più il programma che lo aspetta: accompagnare Thérèse alla serata inaugurale del corso di danze popolari al Circolo Floriàn.
Qualsiasi tentativo di evitare quello spiacevole impegno é fallito. Thérèse ci tiene tanto che lui l'accompagni almeno per una volta, visto che negli ultimi tre anni glielo ha chiesto inutilmente.
Il fatto é che Maùrice non é assolutamente interessato alla danza in qualsiasi sua forma, per di più ha conosciuto diversi amici di Thérèse che frequentano quel corso, e non gliene é piaciuto uno che fosse uno.
Tipi del tutto particolari, pensa mentre svolta in Rue Sainte Cécilie, o forse solo un tantino estrosi, fatto sta che il più normale gli era sembrato da ricovero immediato.
Un rivolo d'acqua gelida gli scende giù per il collo, ma per fortuna al portone di Thérèse non mancano che pochi metri. Sale i quattro gradini fino all'ingresso e suona al citofono. Non c’è risposta, ma la serratura elettrica del portone scatta e lui si trova finalmente al riparo. Sarebbe così bello se stasera non si dovesse uscire sotto la pioggia. Si potrebbe rimanere in casa ad ascoltare quel nuovo cd di Zubìn Mehta, magari accoccolati sul divano con un plaid sulle gambe e una tazza di cioccolato bollente tra le mani.
L'ascensore di legno che lo conduce al quarto piano, cigola e scricchiola come se da un momento all'altro dovesse aprirsi in quattro parti. La porta sul pianerottolo é solo accostata. Dall'interno si diffonde il profumo della cioccolata che per un attimo lo lascia sperare in un contrattempo, in uno di quegli insignificanti ostacoli così capaci di modificare le decisioni femminili, e che magari potrebbe aver sconvolto i piani di Thérèse. Entra, gli dice lei, vieni a vedere che cosa ho preparato, e lui entra, si avvia per il corridoio fino in cucina, e guarda, e vede che sul tavolo c'è un’enorme torta al cioccolato pronta per essere incartata.
La voce di Thérèse gli arriva dal bagno, lo tranquillizza che non deve preoccuparsi se sono un pochino in ritardo, in queste occasioni non bisogna mai arrivare per primi. Se solo lui potesse incartare la torta, perché lei adesso si sta truccando e non vorrebbe sporcarsi di nuovo le mani di cioccolato. Maùrice chiude gli occhi rassegnato. Ora gli toccherà anche portare la torta lungo tutta la strada, bilanciandola in precario equilibrio tra l'ombrello e la pioggia e Thérèse con i tacchi alti e le pozzanghere e gli schizzi delle auto che passano.
Ma infine ci arrivano al Circolo Floriàn, inzuppati come due spugne, la carta che avvolge la torta é tutta bagnata e si appiccica al cioccolato, le sue scarpe si sono infradiciate come quelle di Thérèse, meno male che lei si é portata quelle basse per poter ballare, altrimenti la serata sarebbe rovinata. E infatti se le mette le scarpe con il tacco basso, e si avvia incontro ai suoi amici che le fanno di lontano grandi cenni di saluto, e lo lascia lì a gocciolare nella sala d'ingresso, con l'ombrello zuppo in una mano e la torta al cioccolato nell'altra.
Il pavimento del salone del Circolo Floriàn é un parquet di listoni di legno chiaro su cui qualcuno già volteggia impaziente, nell'attesa che arrivi il resto della compagnia. Thérèse, a differenza di Maùrice é completamente a suo agio, passa cinguettando da un abbraccio ad un bacio a un gridolino di meraviglia, ma bisogna capirli, non si vedono da più di sei mesi e prima danzavano insieme tutte le settimane; quell'intimità interrotta deve adesso rinnovarsi, riprendere consistenza. Lei gli presenta persone, ma Maùrice non memorizza i nomi, nemmeno qualcuno che dovrebbe essergli noto dato che diversi di loro sostengono di ricordarsi di lui, il che vorrebbe dire che deve averli conosciuti, o forse solo incontrati, o almeno visti, o più probabilmente soltanto immaginati.
Ma la mia immaginazione, pensa Maurìce, é molto povera, se davanti ai suoi occhi il campionario di umanità parigina sembra assortirsi senza limiti alla fantasia. L'abbigliamento, coloratissimo, va dal classico al totalmente stravagante, passando per lo zingaresco e il dark, fino all'elegante e al finto-povero. La gran parte dei partecipanti alla serata inaugurale del corso di danze popolari del Circolo Floriàn sembra essersi travestita da partecipante alla serata inaugurale del corso di danze popolari del Circolo Florìan.
Maùrice é perplesso, gli viene da chiedersi perché tutti questi bravi borghesi ci tengano tanto a imparare balli che neppure i contadini fanno più. Danze popolari italiane, greche, turche, maghrebine o del Ghana. Ci sono persino dei neri che sono venuti a imparare le loro stesse danze tradizionali da insegnanti bianchi...
Ma tutto sembra naturale nell'anomala normalità del Circolo Florìàn.
Solo Maùrice si sente a disagio per la sua incapacità di fondersi in quell'amalgama di diversità e si tiene in disparte, vicino ai i tavoli sui quali ciascuno dei partecipanti ha poggiato la sua torta al cioccolato con l'incarto bagnato.
E' arrivata molta gente, qualcuno ha messo su un disco e si comincia a ballare. Thérèse lo invita ad unirsi alla prima quadriglia, ma lui le fa cenno di non voler partecipare. Preferisco stare a guardare le dice, e lei sembra sinceramente dispiaciuta, dice ti annoierai, ma Maùrìce sa che in fondo si sente sollevata di non dover condizionare il proprio comportamento al suo. E infatti non insiste, gli regala un ultimo sorriso e poi corre ad insinuarsi in una fila di danzatori che s’incrocia con un'altra.
La prima cosa che colpisce Maùrice é il carattere sinceramente democratico di una danza in cui tutti ballano con tutti, a differenza di  quelle in cui ciascuno si sceglie un compagno fisso. Età, razza, sesso e aspetto fisico sembrano essere tutte caratteristiche ininfluenti ai fini della riuscita del ballo. I danzatori corrono, saltano, pestano e battono forte i piedi, facendo vibrare tutta la struttura dell'impiantito. Si affrontano, s’intersecano, sbattono gli uni contro gli altri e intanto ridono e si lasciano andare, i movimenti si fluidificano, si sciolgono in un'unica armonia. Non gli ci vuole molto a capire che la danza é comunicazione non verbale allo stato puro. Linguaggio del corpo, e come tale essenziale ed eloquente. Comunque con il rumore a quel volume, anche volendo, qualsiasi comunicazione tra i ballerini diversa da quella gestuale sarebbe impossibile.
La musica é ripetitiva, assordante, trasmessa da un unico vecchio altoparlante amplificato nel quale ogni tono scompare, omogeneizzato in un solo ululato gracchiante.     
Maùrice adesso osserva i movimenti, semplici, ritmati, che addirittura gli sembrano spontanei. Alcuni, pochi, ballano da soli, ma é solo un prendere la rincorsa in cerca dell'affiatamento, una tensione al sincronismo dei movimenti, ancora un attimo e s’impegneranno con passione insieme agli altri nella complessità della danza, che é cosa unitaria, corale, fatta di gesti unìvoci e unìsoni. Maùrice mangia un pezzetto di torta al cioccolato, e coca cola fredda, il suono é troppo forte, lo stordisce, ma non sembra confondere i ballerini che ora si muovono sempre più velocemente. I balli si susseguono senza interruzione, sono passate già più di due ore e nessuno dei presenti sembra essersene accorto, e anche Maùrice non é stanco, anzi é coinvolto, avvinto, cerca con gli occhi Thérèse, vorrebbe parlarle, forse chiederle di insegnargli. Il ritmo adesso é più potente, le catene di danzatori che si tengono per mano inanellano un cerchio dopo l'altro, tornano indietro, oscillano e si mescolano come un'onda di corpi, come un animale vivo che si contorce, si avvolge e si dipana. Serpente, lombrico lucido, flusso di marea ritmato da nàcchere, battito di mani, a grumi, a grappoli. Nell'aria si diffonde l'odore acre del sudore, di corpi accaldati, le guance sono infiammate, i muscoli doloranti. A Maùrice in certi momenti sembra una scena apocalittica, un amplesso totale, un coito universale. Movimenti iterativi, promenades, scambi di compagno, tutto si riflette nel grande specchio sulla parete che moltiplica il movimento, raddoppia l'enfasi dei gesti.  Davanti a lui un muro di schiene si apre, scorge per un attimo Thérèse, ma subito l'onda si richiude e si avvolge per poi tornare a riaprirsi come il soffietto di una fisarmonica, e Thérèse non c'è più, inghiottita dai flutti di quei corpi in tempesta. Vorrebbe tuffarsi per agguantarla, ma la marea lo sospinge verso il margine della sala, lo schiaccia quasi contro il muro e poi improvvisamente si ritrae, il serpente di danzatori si snoda e si scioglie in piccoli rivoli simmetrici che scorrono lungo i lati del salone, scivolando e rimbalzando contro le pareti per tornare ad unirsi ancora. La musica adesso raggiunge un'intensità parossistica. Il ritmo dei piedi che schiaffeggiano il pavimento l'invoglia a muoversi, si accorge che pur non volendo le sue mani portano il tempo battendo sulle cosce, mentre la cadenza dei colpi di tamburo cresce, diventa il suono del suo cuore in tumulto, della corsa per la salvezza fatta milioni d’anni fa quando qualcosa c’inseguiva nel buio e gli unici rumori nella notte erano il pulsare del sangue alle tempie e l'ansito di belva alle nostre spalle.
E' un battito ancestrale quello che percuote le pareti della sala, e il viluppo dei danzatori risponde come un muscolo solo alla scansione dei colpi. E' un tentacolo gigante quello che si divincola e si torce al suono della musica antica, lucido della bava di corpi madidi di sudore, e si aggroviglia e si scioglie, si annoda e si srotola trascinando i danzatori rimasti invischiati che non possono opporre resistenza ai suoi convulsi movimenti. Maùrice é attirato e spaventato, vorrebbe riuscire a trovare il coraggio per fuggire o rassegnarsi alla vigliaccheria ed entrare e perdersi nel cerchio della danza, farsi avviluppare e sommergere dalla musica senza pensare, senza capire.
In quel momento, in un'inaspettata fenditura creatasi tra i corpi in movimento, scorge di nuovo Thérèse e anche lei lo vede. Ha il vestito strappato alla spalla, la bocca sporca di rossetto sbavato e un rivolo purpureo le scende sul mento, lungo il collo. Gli occhi sono lucidi, le guance di fuoco, sembra febbricitante. Protende verso di lui le braccia nude non capisce bene se per invitarlo a raggiungerla o per supplicarlo di salvarla, solo si accorge che come le labbra, anche le sue mani sono imbrattate. E' sangue, nero e raggrumato sotto le unghie. Maùrice é impietrito, la bocca spalancata, poi all'improvviso si scuote, con uno scatto raggiunge la porta e corre giù per le scale e inciampa e cade e finalmente esce in strada nella pioggia, nell'acqua, e ancora gli dolgono i timpani, ancora gli risuona nelle orecchie la musica ossessiva dei danzatori.





 

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