domenica 12 febbraio 2012

Il Labirinto


Il brano di Borges che ho riportato qualche giorno fa, "La casa di Asterione" è naturalmente ambientato nel Labirinto, una delle ossessioni dello scrittore sudamericano. Come riporta in un altro scritto: "l'idea di una cosa fatta perché la gente si perda, è forse più singolare di quella di un uomo con la testa di toro; ma le due reciprocamente si aiutano, e l'immagine del labirinto conviene all'immagine del Minotauro"


La parola labirinto deriva da Labrys che è il nome della ascia bipenne, uno dei simboli dei culti delle religioni preelleniche, e si sposa bene con l'immagine del toro in una civiltà che celebrava le tauromachie.




















L'immagine del labirinto, rimanda probabilmente a quella del palazzo di Cnosso che per la sua immensità la doveva suggerire.




 
Sappiamo che l'edificio fu costruito da Dedalo insiema a suo figlio Icaro, per volere di Minosse re di Creta, al fine di potervi nascondere il Minotauro, figlio mostruoso di nato da un'accoppiamento bestiale.
Sua moglie Pasifae infatti, per una maledizione di Poseidone si era innamorata di un toro, al punto da farsi costruire da Dedalo una giumenta di legno per poter dare sfogo alla sua passione.

Il Minotauro mangiava carne umana e ogni anno sette giovani e sette fanciulle venivano spedite nel palazzo per fare da pranzo al mostro.

Nel XII canto dell'Inferno, Dante lo incontra insieme a Virgilio, e rifacendosi ad un brano delle Metamorfosi di Ovidio, lo descrive col corpo di toro e la testa d'uomo, così come lo dipinge in questa illustrazione Cima da Conegliano.



Mentre invece viene generalmente ritratto al contrario:


Il labirinto ci affascina perchè è una delle metafore dell'esistenza, con la sua incomprensibilità, la difficoltà di attraversarlo trovando la strada per l' uscita, e naturalmente si presta ad una infinita simbologia esoterica.

Non a caso è stato simbolo per alchimisti e filosofi, viene rappresentato sui pavimenti delle cattedrali, non a caso il solo modo per uscirne per Teseo è seguire il filo di Arianna, che rappresenta la luce nelle tenebre, la strada da non perdere nella ricerca.

Io però vorrei proporre un'altro labirinto, più semplice ma non meno spietato, immaginato anche questo da Borges nell' "Aleph"

«Narrano gli uomini di fede (ma Allah sa di più) che nei tempi antichi ci fu un re delle isole di Babilonia che riunì i suoi architetti e i suoi maghi e comandò loro di costruire un labirinto tanto involuto e arduo che gli uomini prudenti non si avventuravano a entrarvi, e chi vi entrava si perdeva. Quella costruzione era uno scandalo, perché la confusione e la meraviglia sono operazioni proprie di Dio e non degli uomini. Passando il tempo, venne alla sua corte un re degli arabi, e il re di Babilonia (per burlarsi della semplicità del suo ospite) lo fece penetrare nel labirinto, dove vagò offeso e confuso fino al crepuscolo. Allora implorò il soccorso divino e trovò la porta. Le sue labbra non proferirono alcun lamento, ma disse al re di Babilonia ch'egli in Arabia aveva un labirinto migliore e che, a Dio piacendo, gliel'avrebbe fatto conoscere un giorno.
Poi fece ritorno in Arabia, riunì i suoi capitani e guerrieri e devastò il regno di Babilonia con sì buona fortuna che rase al suolo i suoi castelli, sgominò i suoi uomini e fece prigioniero lo stesso re. Lo legò su un veloce cammello e lo portò nel deserto.
Andarono tre giorni, e gli disse: "Oh, re del tempo e sostanza e cifra del secolo! In Babilonia mi volesti perdere in un labirinto di bronzo con molte scale, porte e muri; ora l'Onnipotente ha voluto ch'io ti mostrassi il mio dove non ci sono scale da salire, né porte da forzare, né faticosi corridoi da percorrere, né muri che ti vietano il passo." Poi gli sciolse i legami e lo abbandonò in mezzo al deserto, dove quegli morì di fame e di sete. La gloria sia con Colui che non muore.»

Il Re e i Due Labirinti, da L'Aleph (1944), J. L. Borges.




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