domenica 5 gennaio 2014

El Pirata

Questa è una storia vera, che io semplicemente riporto.

Con presunzione, mi piace pensare che sarebbe potuta piacere a J.L.B.


La prima parte di questo racconto è stata immaginata da un aspirante scrittore a Montevideo nei primi anni del '900.
Ne è autore un tale Ernesto Guerreri, figlio di emigrati italiani in Uruguay, che sogna di diventare un autore di successo. Dopo gli studi classici, perseguendo questa sciagurata ambizione si iscrive alla facoltà di lettere dell'università di Montevideo. E' un ragazzo brillante, dal facile eloquio e dal portafogli sempre gonfio. Suo padre ha fatto fortuna insieme ai fratelli con una ditta di importazione di caffè, e non lesina sul danaro purché suo figlio coroni le proprie aspirazioni.
Negli anni in cui studia all'ateneo, Ernesto si iscrive ad un circolo letterario della città, partecipando con entusiasmo insieme con gli altri studenti, alla redazione di un foglio nel quale vengono pubblicate le opere degli associati. E' un avido lettore di racconti di spionaggio, lo affascinano le trame misteriose e i racconti polizieschi, predilige quelli di Arthur Conan Doyle.
Al termine di quella esperienza e degli studi, la sua fantasia partorisce un romanzo dal titolo “El Pirata”, ambientato in una capitale di fantasia che ricorda molto Lisbona, dove si fronteggiano un pericoloso rivoluzionario e il capo dei servizi segreti, suo dichiarato nemico.
Di costui sappiamo che è un uomo rude e spietato capace di farsi strada fra i ranghi della polizia in modo deciso, fino a raggiungere l'apice della carriera diventando il capo del braccio repressivo del regime. E' un personaggio quasi leggendario questo Ferreira, temuto e rispettato dai suoi sottoposti, che conoscono bene la sua mania per la segretezza, pari solo all'altra sua passione, la musica lirica. Ha costituito un dipartimento trasversale all'interno della polizia segreta, strutturato in forma rigidamente piramidale. Gli uomini che lo compongono rispondono solo a lui, non si conoscono fra loro, e nessuno di essi ha mai visto la sua faccia. Gli ordini vengono trasmessi esclusivamente per via telefonica o tramite messaggi scritti.
L'assoluta segretezza è per lui garanzia dell'impenetrabilità del sistema.
Guerreri gli contrappone come antagonista Miguel Serrano, un uomo semplice, una specie di giustiziere di campagna che si oppone alla dittatura. Anche lui è una leggenda fra la povera gente, lo chiamano “El Pirata”. Si dice che con il suo coltello abbia ucciso sei uomini. Ha il viso attraversato da una profonda cicatrice causata dalla rasoiata di una donna. Tutta la prima parte del libro è dedicata alla descrizione e alla storia dell'eroe proletario. Egli partirà dalle campagne soggiogate dal tallone di ferro della tirannia e ridotte alla miseria dalle razzie del regime, per giungere nella capitale ed assassinare il dittatore.
La polizia però, avvertita da un delatore, è già in allerta.
Lo catturano addirittura alla stazione ferroviaria appena sceso dal treno, e lo trattengono per cinque giorni.
In uno di questi, a condurre un interrogatorio particolarmente feroce, è proprio Ferreira che desidera accertarsi di persona della pericolosità dell'individuo. Serrano è condotto nello scantinato della questura, viene bendato e fatto sedere in una cella vuota, con le mani legate dietro alla schiena. Alla luce incerta dell'unica lampadina riceve i primi colpi che gli arrivano improvvisi e violenti sulla faccia, alle reni, nei testicoli. Le urla del prigioniero sono coperte da un grammofono acceso che suona a tutto volume alcune arie del “Barbiere di Siviglia” di Rossini. Il suo torturatore le canticchia fra i denti mentre e gli gira attorno colpendolo ancora, e poi ancora. Vuole sapere di piani, di trame ancora inesistenti, vuole conoscere particolari di un' idea che si è solo manifestata, ma non ancora definita nella mente di Serrano. Un pugno più violento di altri, lo fa cadere dalla sedia, e gli scosta per un attimo la benda dagli occhi. In quell'istante, l'immagine del volto di Ferreira si imprime indelebilmente sulla retina e nella mente di Serrano.
Al termine dell'interrogatorio senza esito, l'uomo viene riportato in cella pesto e sanguinante, a languire sul pavimento bagnato del suo sangue e della sua orina.
Quando viene rilasciato, Serrano si dà alla latitanza, ma uno degli uomini della polizia segreta viene immediatamente messo sulle sue tracce. Ferreira ha capito che ancora non esiste il piano preciso per un attentato, ma non è del tutto convinto che il giovane rinunci ai suoi propositi, così stupidamente vantati in pubblico al suo paese. All'agente scelto Santiago Cruz perviene dunque una nota di servizio che gli ordina di pedinare Serrano senza lasciarlo un attimo, ma senza assolutamente intervenire, riferendo tutte le sere per iscritto sulle sue mosse. La comunicazione deve avvenire esclusivamente tramite rapporti inviati ad una casella postale, la segretezza dev'essere assoluta.
L'autore del romanzo ci rivela di come i propositi del “Pirata” siano stati in parte modificati dall'interrogatorio a cui è stato sottoposto. Il fine ultimo è sempre la preparazione dell'attentato al dittatore, ma l'altro obiettivo adesso è rintracciare e vendicarsi del poliziotto che lo ha picchiato a sangue.
E qui la storia prende una sorprendente accelerazione. Dopo alcuni giorni trascorsi in città a riprendersi dal pestaggio, in poche pagine vediamo l'agente Cruz seguire Serrano in una serata di pioggia fino al teatro dell'Opera. Va in scena la prima del “Barbiere di Siviglia”. Il ragazzo si aggira fra la folla elegante, come se cercasse un contatto, qualcuno che conosce. All'improvviso il diligente poliziotto lo vede accostarsi ad un'edicola dove un uomo alto, con un cappotto di cammello sta acquistando dei sigari cubani. Il un lampo, Serrano estrae una lunga lama dalla manica della giacca e la infila una, due, tre volte nel fianco dell'uomo che cade in terra in un lago di sangue.
Nella confusione che segue, l'accoltellatore si allontana, e il ferito spirerà sorretto dal poliziotto, senza che questi abbia modo di riconoscere in lui il suo diretto superiore. Ferreira muore dunque per eccesso di prudenza, quella segretezza assoluta che gli consentiva di andare a teatro senza scorta, non ha impedito bensì favorito il proprio assassinio e quello dell'attentato che avverrà.
La morale che sembrerebbe essere sottesa dall'autore è quella della ineluttabilità del destino, che nessuna mossa e nessuna difesa può sviare.
Il romanzo fu pubblicato a spese dell'autore dalla casa editrice SUR a Montevideo nel 1936, oserei dire improvvidamente, visto che si era nel pieno della dittatura di Gabriel Terra. Un romanzo che parlava dell' attentato ad un tiranno, in quei momenti non sembrò un miracolo di tempismo. Dire che ebbe un'accoglienza “tiepida” è solo un pietoso eufemismo per non dire che fu totalmente ignorato da pubblico e critica.
Forse anche sotto la pressione dei suoi preoccupati familiari, l'aspirante scrittore Ernesto Guerreri decise di orientare più convenientemente il suo futuro nel commercio del caffè.

Qui finisce la prima parte della nostra storia.

Per proseguire, dobbiamo fare un salto nel tempo di almeno settanta anni. Infatti la seconda parte di questo racconto si svolge ai giorni nostri, in località molto più vicine.
La riporto così come venne raccontata sulle pagine del quotidiano romano “Il Messaggero”, in quelle settimane.
Il 12 aprile del 2009, sulla spiaggia ancora deserta di Ostia, viene ritrovato cadavere un certo Attilio Burri, ucciso con due colpi di pistola al torace.
La cosa non sorprende i carabinieri della stazione locale, in quanto Burri è noto alle forze dell'ordine per essere un “cravattaro” nome che viene dato a Roma agli strozzini. E' un uomo odioso e volgare, capace di violenti scatti di rabbia. Nella casa dove viveva vengono ritrovati, occultati in un tramezzo, più di due milioni di euro in banconote, cambiali e assegni post-datati. Le indagini naturalmente si indirizzano subito verso i debitori di Burri, che avevano interesse ad eliminarlo e che sono i firmatari dei titoli di pagamento. L'uomo ha una figlia di nome Assunta, che tre anni prima ha sposato un giovane spiantato della zona, tale Giacomo Crozza. E' il tipico bullo di periferia, forte con i deboli e debole con i forti. Cresciuto senza padre, ha perso anche sua mamma da qualche anno, e si arrangia rubacchiando in giro e forse spacciando un po' di droga. La ragazza rimane incinta del giovane che non vuole saperne di sposarla, ma che il Burri a suo modo mette inderogabilmente davanti alle proprie responsabilità. Purtroppo, un mese dopo il matrimonio, Assunta ha un aborto spontaneo e perde il bambino. I due vanno a vivere in un appartamento non distante dalla villetta del suocero. Crozza, che non trova o non cerca occupazione, non è in grado di pagare la ristrutturazione della casa. Contrae quindi anch'egli un debito col suocero, per ripagare il quale si lascia progressivamente cooptare nell'attività di strozzinaggio. Il giovane ha il compito di riscuotere il danaro dalle vittime dell'usura, ma anche in questo non mostra grandi capacità. Da sua moglie e dalla sua famiglia acquisita, viene ritenuto uno smidollato privo di qualunque dignità. Sfoga le sue frustrazioni familiari sul “lavoro” e al bar, dove al contrario, si vanta molto delle sue doti persuasive.
Agli inizi del 2009, Burri lo incarica di perseguitare con particolare insistenza Mario De Turris, un debitore di Ostia che deve molto danaro. Questi è una persona anziana, che è dovuto ricorrere allo strozzino per poter curare la moglie affetta da una grave patologia, e che nonostante le cure è deceduta. L'uomo sostiene di non essere in grado di pagare, dunque chiede a Crozza di organizzare un incontro con il suocero nei pressi di un lido balneare, per rinegoziare un accordo sugli interessi del suo debito.
Burri, che è un sessantacinquenne conosciuto per la sua forza fisica e il pessimo carattere, non teme minimamente che le cose possano mettersi male con l'anziano pensionato. Ad ogni buon conto però, incarica il genero di accompagnarlo. Ma Giacomo Crozza, che ha intuìto l'epilogo dell'incontro (o forse si è accordato con l'omicida), trova un'occasione per presentarsi in ritardo all'appuntamento. Osservatore discreto e nascosto, scorge dal retro delle cabine, il De Turris, che dopo un violento alterco, estrae una vecchia pistola a tamburo e spara per due volte a Burri. In un solo momento quindi, Crozza si è liberato del suocero a cui deve soldi, ed è anche in grado di ricattare l'assassino con una possibile testimonianza. Le sue aspettative però vengono rapidamente frustrate, in quanto dopo meno di una settimana dal delitto, il De Turris si reca alla caserma dei carabinieri per confessare l'omicidio e consegnare l'arma.

Fin qui la cronaca dei fatti.

Per completare il quadro di questi due avvenimenti apparentemente slegati fra loro, devo precisare che il nonno materno di Giacomo Crozza molti anni prima era emigrato in Uruguay e si era stabilito a Montevideo, dove lavorava nell'azienda di famiglia, un import-export di caffè.
Si chiamava Ernesto Guerreri, e fu autore di un romanzo misconosciuto dal titolo “El Pirata”, esattamente come “Il Pirata” è il nome dello stabilimento balneare dov'è avvenuto l'omicidio Burri.
Forse Giacomo Crozza (che in dialetto significa croce) non ha lasciato uccidere suo suocero per soldi come ha potuto credere, forse in qualche modo che ci è sconosciuto, ha semplicemente interpretato il ruolo del suo omonimo Santiago Cruz (Giacomo Croce), nel copione scritto da suo nonno settanta anni prima.