venerdì 30 dicembre 2011

Racconto di Natale


Natale è il periodo più fantastico dell'anno.
Se hai undici anni come Massimo poi, e già ti immagini due intere settimane senza scuola, allora davvero il Natale ti brucia nelle mani e nelle gambe, ti entra nel naso con l'odore forte degli abeti tagliati di fresco, ritti come soldati sui marciapiedi, stretti forte l'uno all'altro come per riscaldarsi un pochino nell'aria gelida, rarefatta, che sa di fumo, e dove il respiro si condensa in un vapore impalpabile.
Il freddo forte taglia la faccia e fa lacrimare gli occhi, ma bisogna uscire di casa in questi giorni, bisogna star fuori, ci sono troppe cose da fare, da vedere e da ricordare: nuovi pastori da andare a comperare a S. Gregorio Armeno tra infinite bancarelle, le luminarie, gli zampognari che per strada suonano la novena davanti ai negozi, le vetrine scintillanti di via Scarlatti, i giocattolai che espongono enormi pupazzi di Lego e trenini elettrici in funzione, e le pasticcerie stracolme della migliore produzione di mostaccioli, pasta di mandorle, cassate siciliane, struffoli e panettoni, pandoro e pastiere.
Le salumerie hanno già esposto grandi mastelli nei quali galleggiano peperoni verdi da fare ripieni, e l'odore forte dell'aceto ti entra nel naso, mentre tua madre compra olive, cipolline e alici per l'insalata di cavolfiore da preparare la sera della vigilia. E il pescivendolo ha messo fuori del negozio lunghe vasche azzurre illuminate dalle lampare, dove si contorce un groviglio sinuoso, nero e lucido, che quando il retino cala si dipana prendendo forma d'anguilla.­
Nel vento gelato che sa di neve c’è tutto questo, e Massimo, scendendo di corsa le scale della funicolare queste cose le sentiva tutte insieme, e se li beveva questi odori del Natale che gli entravano nella bocca, gli saturavano il naso, e le mucose delle sue narici gli comunicavano segnali confortanti, rassicuranti, sulle cose che sarebbero accadute in quei giorni, infondendogli fiducia, perché quando si è bambini ci sono cose che devono essere sempre le stesse perché fanno parte di noi, e il Natale è una di queste.
E in fondo, di cosa sono fatte queste feste se non di piccole cerimonie che si perpetuano nel tempo, a cominciare dalla preparazione dell'albero, con la meraviglia di riscoprire le decorazioni che messe via l'anno precedente adesso tornano fuori una alla volta, liberate dalla carta velina nella quale hanno dormito dodici mesi chiuse in vecchie cassette di liquore. E Massimo se le rammenta una per una quelle fragili bolle di vetro dalle forme bizzarre, e a lui tocca l'onore di mettere il puntale sulla cima dell'abete, come atto conclusivo di quell'ingenuo rituale.
Alcuni preparativi poi, iniziano parecchio tempo prima di dicembre.
Quando suo padre cominciava a costruire il presepe infatti, era forse ancora ottobre, e in una domenica di sole andavano sulla spiaggia a raccogliere la sabbia per fare le montagne, e poi in pineta a Castelvolturno a staccare da qualche albero la corteccia che sarebbe servita per simulare il basolato delle strade, muschio per la chioma degli alberi, pietrisco di varie dimensioni da passare al setaccio per i muretti e i viottoli tra i campi. Nella bottega di qualche ferramenta di paese comperavano una scopa di saggina dalla quale ricavare le sagome degli alberi scheletriti dall'inverno e nei giorni seguenti sarebbe stato tutto un martellare e un raspare, rete metallica e carta di giornale, e l'odore del Vinavil si sarebbe mescolato a quello del grano cotto nel latte, dell'acqua di millefiori, del cedro, dei mandarini freschi e dei meloni d'inverno.
Massimo passò correndo davanti alla bottega del barbiere e svoltando l'angolo di piazza Vanvitelli quasi si scontrò con Mario, vicino di pianerottolo e suo miglior amico. Avevano appuntamento per la prima delle numerose tombole che si sarebbero susseguite fino all'Epifania.
- Ehi, dove corri? - salutò Mario - siamo in anticipo!
- Lo so, - rispose Massimo - ma devo comprare una cosa.
- Un regalo?
- Macché... quello ce l'ho già, devo comprare un biglietto.
Si infilarono in una cartoleria e dopo una scelta meticolosa che occupò alcuni minuti, presero un bigliettino rosso con un nastrino dorato.
Già, perché nonostante tutto, questo Natale non sarebbe stato proprio come gli altri. Era il primo anno delle medie e senza che loro se ne accorgessero, senza che niente li avesse preavvisati, qualcosa in loro era cambiato.
Durante l'estate erano stati troppo occupati a correre, nuotare e andare in bici per rendersene conto, ma da settembre, al contatto con i nuovi compagni avevano avvertito un sottile cambiamento, e proprio il primo giorno di scuola, durante l'appello, quando il suo sguardo aveva incrociato quello di Federica, Massimo aveva percepito un frullo d'ali nello stomaco mai sentito fino ad allora, e al quale si rifiutava ostinatamente di dare un nome.
Ed era cominciato così una sorta di inseguimento, un gioco di segnali impercettibili che i due si lanciavano a distanza, senza avere il coraggio di avvicinarsi, e adesso....
Adesso Massimo camminava spedito con un pacchettino che nella tasca del giubbotto sembrava diventato enorme, e la sua attenzione era tutta concentrata su quello che sarebbe successo a casa di Luca quella sera.
- Che diavolo le posso dire?
- Tu non dirle niente, dalle il braccialetto e basta - suggerì pratico, Mario.
- Già, così quella capisce che é il solito regalo di Natale e buonanotte.
- Ma tu perché non glielo scrivi nel biglietto?
- Quanto sei furbo! E se il biglietto lo vede anche qualcun altro?
Il problema sembrava senza soluzioni.
Si fermarono davanti ad una vetrina che esponeva giochi per computer scambiandosi qualche parere, ma erano distratti, svogliati, in quel momento persino Natale sembrava più lontano e anche se sapevano che di lì a qualche giorno si sarebbero incontrati di mattina a casa dell'uno o dell'altro, ancora in pantofole, con la vestaglia indossata sul pigiama con i giochi nuovi tra le mani, anche se sarebbero andati insieme alla messa di mezzanotte, anche se avrebbero tossito insieme sul balcone in mezzo al fumo, tra girandole di fuoco, vulcani che eruttano lapilli, scoppi che scuotono i vetri e la terra, e avrebbero bevuto lo spumante ghiacciato nei bicchieri di cristallo buono, ora niente era più importante di una semplice frase, di poche parole da dire con voce incerta.
Ma viene sempre un momento in cui qualcosa si infila tra te e il resto delle cose, e cambia il tuo punto di vista così repentinamente che ti sembra che cominci una stagione diversa.
Si fermarono davanti al portone del palazzo di Luca.
- Siamo arrivati - sentenziò Mario - che vogliamo fare?
- Torniamocene a casa.
- Tu sei scemo, stasera c'è anche Valentina!
- Si..... ma che le dico?
- Che ne sai, può darsi che c’ha la febbre e non viene!
Salirono a piedi, lentamente, per concedersi ancora qualche istante per pensare a cosa dire, poi bussarono alla porta.
Venne ad aprire Luca, che nel salutarli fece l'occhietto a Massimo confermando: - Federica é già arrivata.
Massimo si sentì le gambe di cemento, non solo Federica era già lì, ma tutta la faccenda sembrava allegramente di dominio pubblico!
Sfilò il pacchetto dal giubbotto prima di appenderlo all'attaccapanni e se lo ficcò in tasca. Entrarono nella cucina per salutare la mamma di Luca, poi nella sala da pranzo dove in un angolo troneggiava un maestoso abete natalizio. Sul tavolo rettangolare che occupava quasi tutta la stanza c'erano già le cartelle della tombola e alcuni piattini pieni di fagioli secchi. Federica era seduta sul divano insieme a due compagne tra le più pettegole, che al loro ingresso si scambiarono uno sguardo d'intesa e scoppiarono a ridere. Massimo avrebbe voluto sprofondare nel pavimento, ma sentì che Mario lo spintonava e si accorse che Federica senza neppure guardarlo, si allontanava dal gruppetto uscendo da una porta laterale.
Salutarono le altre bambine e si sedettero. La scatolina del regalo faceva un bozzo sulla tasca troppo evidente e Massimo per prudenza si alzò, poi visto che Federica non rientrava e che gli altri erano occupati in conversazione, prese coraggio e si affacciò sulla porta laterale che dava nell'ingresso buio.
- Federica...? - azzardò - ... Federica... sei qui?
Non ebbe risposta ma gli sembrò di scorgere la sagoma della bambina accanto all'appendiabiti.
Avanzò esitante.
- Federica.... non provare a spaventarmi!
Ancora nessuna risposta, ma l'ombra più scura si mosse.
- Dove si accende la luce? - domandò Massimo.
- E che te ne importa? - rispose una voce dal buio.
Già - pensò lui - che me ne importa, mica ho paura!”
Fu in quel momento che si sentì tirare per un braccio nel più fitto dell'ombra e avvertì sul viso il solletico dei suoi capelli. Qualcosa di meravigliosamente morbido gli si poggiò per un istante sulle labbra e gli soffiò: - Buon natale, scemo!
Non seppe mai dire per quanto tempo rimase seduto al buio sulla panca dell'ingresso, con un pacchetto nelle mani e l'altro ancora nella tasca dei pantaloni.














mercoledì 28 dicembre 2011

Martina

Oggi ho conosciuto Martina.
Martina è una bambina di sette anni, molto magra, bionda, con gli occhiali e un po’ bruttina.
Le manca un incisivo e un altro sta ricrescendo. E’ arrabbiata perché i cugini più grandi con i quali è venuta al Bosco di Capodimonte non le lasciano il pallone grande per giocare.
Cerco di consolarla offrendole un palloncino pubblicitario che mi hanno dato poco prima, ma lei non si lascia tentare.
La mamma, forse preoccupata che parli con un estraneo seduto alla panchina di un giardino pubblico, il che fa di me un potenziale pedofilo, si avvicina senza smontare dalla fiammante mountain-bike.
E’ bionda, molto bionda, coda di cavallo, pantacollant neri, scarpette Nike e maglietta stretch bianco abbagliante. Mi guarda un attimo, raccomanda alla bambina di non disturbare, e riparte per il suo giro lasciandola sotto l’occhio vigile di sua sorella e dei cugini.
Martina coglie al volo una distrazione di questi e si impadronisce del pallone, mi viene davanti e senza preavviso me lo lancia.
E così cominciamo a giocare.
Tira di sinistro.
E tira anche forte....forse per impressionarmi.
Mi vedo già il quadretto familiare.
La bionda è piuttosto sportiva, molto insoddisfatta, separata, 2 figli, un maschio e la piccola bruttina.
Mollati entrambi alla sorella per avere finalmente qualche momento per se stessa, e che diamine......
Noi intanto abbiamo smesso dopo pochi tiri, il fratello e i cugini hanno reclamato il pallone, allora Martina è andata a frugare in uno zainetto e mi ha mostrato la sua raccolta di miniature di Dragonball, ha fatto un disegno di me e lei che giochiamo al calcio sul suo quaderno a quadretti, e si è persino prodotta in una serie di spericolate operazioni aritmetiche di somma e sottrazione, suscitando la mia ammirazione. 
Il tutto sotto lo sguardo vigile ma indifferente della zia, dato che la mamma bionda è troppo occupata ad inanellare giri su giri in bicicletta.
Parliamo ancora un poco e quando mi alzo per andare via e la saluto, la piccola dice – Nooo… e fa il faccino triste e deluso.
Mi inginocchio a parlarle da vicino e le prometto che la prossima domenica tornerò al Bosco e ci rivedremo alla stessa panchina.
Sembra che così vada bene.
Mi alzo e faccio un cenno di saluto alla zia. Dopo tre passi mi sento chiamare per nome.
E’ Martina che mi vuol dare un bacio e ne vuole uno da me, si indica la guancia battendoci il dito.
La donna sorride stolidamente del senso di abbandono e del bisogno disperato di una figura maschile della nipotina.
La mamma troppo bionda è da qualche parte in bici.
Sento forte la nostalgia di Massimo piccolo e ho voglia di abbracciarlo.

martedì 27 dicembre 2011

Genovese di pesce bandiera

INGREDIENTI

1 Pesce bandiera (o spatola)
Farina
Sale
Pepe
Menta fresca
½ Bicchierino di aceto
Cipolla
½ bicchiere d'olio extravergine d'oliva

PREPARAZIONE

Sfilettare il pesce bandiera, infarinarlo e friggerlo in abbondante olio.
Appena cotti i filetti porli sulla carta assorbente a raffreddare.
Nello stesso olio rosolare una piccola cipolla tagliata sottilmente.
Lasciar raffreddare il tutto.
In una teglia unire ai filetti di pesce fritto la cipolla, sale, pepe l'aceto e la mentuccia tritata.
Servire dopo aver lasciato riposare per insaporire.