giovedì 17 maggio 2012

Martina



"L'immaginazione dell'uomo in materia
di mostri é limitata."
J.L.Borges

Enrico non riusciva a credere ai propri occhi.
Lì, proprio davanti a lui, sfilava un corteo di femministe.
Stava addentando un cornetto, quando tra il brusìo del bar, aveva distinto il tipico ritmo cadenzato degli slogan urlati alle manifestazioni, ed era uscito in strada per guardare cosa stesse accadendo.
Il gruppo delle dimostranti si era sforzato di interpretare alla lettera la più vieta iconografia della femminista anni '70: lunga gonna zingaresca e scialle sulle spalle, zoccoli ai piedi e fiori nei capelli. Persino le mani alzate in alto sulla testa con gli indici e i pollici uniti, contribuivano a dare al piccolo corteo un aspetto assolutamente anacronistico.
Per completare il quadro urlavano a gran voce, e le frasi gridate erano della serie "il corpo è mio......eccetera...eccetera".
Enrico, come molti altri passanti, era rimasto a bocca aperta a guardare le facce arrabbiate delle ragazze, cercando di ricordare quale potesse essere per loro la ricorrenza da festeggiare, ma non gliene venne in mente nessuna. Probabilmente la cosa era stata organizzata da qualche "Collettivo Donne" sopravvissuto negli anni, e in effetti le stesse partecipanti non sembravano molto convinte di quello che andavano urlando in coro. L'impressione complessiva era più di trovarsi ad assistere ad una sfilata in costume d'epoca, una cosa di cattivo gusto tipo Disneyland, per intenderci.
Enrico scosse la testa e si mosse per andar via, quando la sua attenzione fu attirata da una delle ragazze del corteo. Teneva tra le mani un cartello con l'abusata scritta "TREMATE, TREMATE, LE STREGHE SON TORNATE", ma a differenza delle altre aveva scelto per l'occasione un abbigliamento un po' meno scontato, si era vestita cioè come faceva probabilmente tutti i giorni: jeans, scarpe da ginnastica e un maglione di lana bianco a collo alto. Pur non essendo truccata, come d'obbligo per le militanti, le folte ciglia nere sembravano tracciarle una riga di matita sul bordo della palpebra inferiore, dando agli splendidi occhi verdi un accento orientaleggiante.
La bocca aveva labbra sottili, denti bianchissimi, e sembrava atteggiata in un broncio perenne.
Enrico, ligio alla mentalità corrente, aveva sempre pensato che le femministe dovessero necessariamente essere delle bruttone inacidite che avevano eletto l'uomo ad eterno nemico per irrisolvibili questioni di insoddisfazione sessuale. Ma naturalmente, come ogni maschio che si rispetti, si sentiva pronto ad abiurare le proprie idee se ci fosse stata l'opportunità di ridiscuterne con una bella donna, meglio se bruna e con gli occhi verdi come quella.
Gli piaceva al punto che si sentiva pronto alla conversione a qualsiasi fede politica o religiosa.
D'un tratto, quasi si fosse accorta di essere osservata, la ragazza si voltò ricambiando lo sguardo con intensità. Fece addirittura qualche passo nella sua direzione ma poi, come se si sentisse chiamare, si voltò di nuovo e riprese a seguire il corteo.
Enrico era rimasto immobile, imbarazzatissimo, in quanto non aveva dubbi che lei si fosse resa conto di aver suscitato la sua attenzione, e per un attimo aveva temuto che gli rivolgesse qualche parolaccia.
Gettò via quanto restava del cornetto e si diresse verso il palazzone della società dove lavorava. Per tutta la mattina non fece altro che pensare a quell'episodio, domandandosi come avrebbe potuto fare per incontrare nuovamente la donna, poi mano a mano che il lavoro lo assorbì, il ricordo di quegli occhi si confuse tra tutti gli occhi della sua giornata.
La mattina successiva sembrò che il destino provvedesse a risolvere il suo problema, infatti entrando nel solito bar si accorse che la bruna del giorno precedente era seduta in un angolo a fare colazione. Enrico sfoggiò uno dei suoi più smaglianti sorrisi e con il cappuccino in mano, andò a sedersi allo stesso tavolino.
La ragazza alzò gli occhi dalla pagina degli oroscopi e senza mostrare nessuna meraviglia per quella piccola invasione del suo spazio, chiese:
- Di che segno sei?
- Ariete, - rispose lui - ascendente Leone.
La ragazza strinse le labbra, arricciando il naso - Brutta congiunzione -
- Veramente io mi ci trovo benissimo - commentò Enrico, che ostentava la sicurezza del latin-lover, ma si rese conto che la conversazione appena iniziata prendeva già una piega idiota. Tentò di raddrizzare le cose buttandola sul banale, tipo cometichiami, dovelavori, comemainoncisiamoincontratiprima eccetera, ma intuì che se la ragazza era lì apposta per lui come sospettava, forse avrebbe potuto saltare i preliminari e chiederle un appuntamento.
Ancora una volta fu preceduto e Martina, così disse di chiamarsi, gli chiese direttamente:
- Usciamo insieme stasera o vuoi perderti l'occasione della tua vita?
Enrico non se la perse.

§ § § § § § § § § §

Dopo quella volta, si videro quasi tutti i giorni. Al mattino Enrico la incontrava al bar sotto l'ufficio, e la sera lei passava a prenderlo dal lavoro.
Martina viveva in una minuscola mansarda piena di luce, dal cui terrazzino si vedeva una distesa di tetti, e uno spicchio della piazza con il duomo.
In quelle due stanze, Enrico imparò a conoscere il carattere irrequieto della sua nuova ragazza.
Martina era una donna di mutevolissimo umore, e per lo più con indosso una strana malinconia, come se avesse dentro di sé un infinito rimpianto per il tempo passato. Le piaceva fantasticare ad occhi aperti, ma la sua immaginazione aveva sempre un che di triste, di malsano, e spesso i suoi racconti avevano il colore dell'autunno, la sua voce il suono delle stagioni morte, mentre narrava di luoghi nascosti tra il verde cupo dei boschi, dove la luce del sole non penetra mai.
Enrico l'ascoltava per ore, incantato da quella capacità di inventare sempre nuove storie, di immedesimarsi in personaggi e situazioni descritte con tale minuzia di particolari, da sembrare vissute in prima persona. Pensò che Martina dovesse aver letto una smisurata quantità di libri, ma qualsiasi tentativo di conoscere qualcosa della sua vita privata, veniva da lei regolarmente sviato; sembrava che volesse essere accettata per quella che era in quel momento, senza concedere niente di sé che fosse legato al suo passato. Lui aveva subìto questa tacita condizione perché il fascino che emanava dalla sua persona lo aveva letteralmente soggiogato.
Martina possedeva una carica di sensualità che Enrico non aveva mai conosciuto in nessuna donna. Il sesso tra loro era una specie di lotta accanita e sempre, quando facevano all'amore, era travolto da un'onda di sensazioni così forti che lo lasciavano poi spossato sulla spiaggia del sonno. Allora lei cominciava a fantasticare, a raccontare, e la sua voce si insinuava tra la veglia e l'incoscienza, lo distraeva dal torpore trascinandolo in territori della mente misteriosi e sorprendenti.
Anche quel giorno accoccolata al suo fianco Martina parlava, parlava, ed Enrico, con gli occhi socchiusi, ascoltava in silenzio il suono musicale della sua voce che narrava di un'epoca lontana, a lui sconosciuta, ma che lei invece sembrava aver vissuto fino al giorno prima.
- Pensa che una volta, per scherzo, feci impazzire l'asino del sagrestano. Se lo avessi visto, corrergli dietro lungo tutto il sentiero! - raccontava ridendo - Da piccola mi divertiva tanto fare cose incomprensibili agli altri bambini. Era eccitante sapere di avere una qualità straordinaria, solo esclusivamente mia. Solo più tardi, crescendo, mi resi conto che quel segreto non avrei mai potuto condividerlo con nessuno neppure volendo.
Non puoi capire cosa significhi rendersi conto di essere completamente sola, di non avere alcuna possibilità di comunicare agli altri un tuo desiderio, o anche solo i tuoi pensieri perché questo gli fa perdere la ragione per lo spavento. Quello che fino ad allora mi era sembrato normale, quella che era stata la mia infanzia felice, i miei giochi innocenti, si scontravano con l'incomprensione dei miei coetanei. Incomprensione che ben presto si trasformò in diffidenza, e poi sempre più velocemente in aperto ostracismo, se non in odio bestiale……-
Si alzò dal letto e cominciò a rivestirsi.
Enrico si stropicciò gli occhi e si tirò su a sedere. La voce di lei aveva cambiato repentinamente tono.
Non era la prima volta che Martina si immedesimava a tal punto in una fantasia da arrabbiarsi terribilmente, e di norma chi ci andava di mezzo era lui.
- A chi avrei potuto rivelare che mentre i miei compagni giocavano tra di loro per strada - continuò lei quasi gridando - io dietro la siepe in fondo all'orto conversavo con quegli esseri schifosi che uscivano dal buco tra le radici della vecchia quercia?
A chi avrei potuto insegnare le Parole che mi venivano in sogno di notte? Parole che possono legare la lingua o spezzare le mandibole, parole che possono far appassire i fiori, marcire le mele, inacidire l'olio, gesti che servono a far rallentare i battiti del cuore di un uomo, o a farti danzare a un ritmo forsennato una musica che nessuno può sentire, fino a sfiancarti come un cavallo impazzito!
Io non so il perché di quest'odio che mi consuma dall'interno e che non mi dà pace.....non so perché devo distruggere anche le cose che amo....... so soltanto che é così.
So che ogni volta mi é concesso troppo poco tempo per poter provare un'emozione, un sentimento. Sempre, nel momento peggiore, quello della passione più intensa, qualcosa o qualcuno mi tira un lembo dell'anima e mi risveglia dall'incanto, ricordandomi qual' é il mio compito. E allora tutto l'amore che provo si tramuta in furia, nel desiderio di vendicare qualcosa che ormai é troppo lontano nel tempo perché io lo possa ricordare, ma che dal passato urla e chiede vendetta.
Quante volte é già successo non te lo immagini………quale ragazzina non si é innamorata perdutamente di un compagno di giochi? Dell'amica del cuore con la quale si divide un sogno innocente o un dolce dolore?
La mia condizione mi ha negato qualsiasi sentimento puro, ho avuto in sorte unicamente la solitudine, e più i miei compagni diurni si allontanavano da me, più i miei incubi peggiori prendevano corpo, forma e i volti degli uomini e delle donne che incontravo il sabato notte in quella radura del bosco alla quale nessun essere ragionevole si sarebbe accostato neppure durante il giorno. Quello che so purtroppo l'ho imparato quasi tutto lì……
Io ho visto cose che nessun uomo potrebbe mai nemmeno immaginare. Esseri davanti ai quali la ragione umana vacillerebbe, riti e atrocità alle quali si può soltanto alludere e che talvolta vengono solo accennate nei racconti che i vecchi fanno davanti al fuoco la sera, ben sprangati in casa. Cose che per tua fortuna non sognerai mai, nemmeno nei tuoi incubi peggiori!-
Enrico era stupito. Seduto nel mezzo del letto la guardava a bocca aperta.
La fantasia della ragazza sembrava non avere limiti ed il racconto era interpretato così bene che gli aveva messo addosso una strana inquietudine. Considerò la possibilità che Martina soffrisse di qualche fenomeno di sdoppiamento della personalità, e si ripromise di parlarne con un medico.
- Va bene - le disse - ma adesso basta con queste fantasie, cerca di calmarti, sei sconvolta! Vuoi farti venire un accidente?-
Martina abbassò le spalle e lo guardò con aria rassegnata.
- Nemmeno tu. Mi ero illusa che potessi capire, speravo di potermi risparmiare questo dolore, almeno per una volta! Ma avrei dovuto sapere che naturalmente é tutto inutile.-
Scoppiò a piangere, di un pianto disperato, irrefrenabile, ed Enrico intenerito si alzò e le andò incontro per placare quella valanga di singhiozzi che la scuotevano tutta.
Non era preparato al colpo, così che quando aprì le braccia per stringerla a sé, ricevette la prima coltellata in pieno petto.
Il respiro gli uscì tutto d'un fiato e per un istante rimase immobile a guardare la lama infissa nella carne, ma lei non gli lasciò il tempo di comprendere. Gemendo, sfilò il pugnale e lo colpì di nuovo, trafiggendogli il collo di lato con una tale violenza che la lama spuntò dall'altra parte.
Enrico cadde all'indietro, riverso sul letto.
Dalla bocca gli uscì solo un gorgoglio strozzato, poi più nulla.
Martina, piangendo disperatamente, gli si inginocchiò accanto sulle lenzuola inzuppate di sangue e cominciò a recitare tra i singhiozzi la cantilena rituale. Le sue mani accarezzavano il viso con dolcezza, seguendone i lineamenti, poi infilò le unghie dei pollici negli incavi delle orbite, con un rapido movimento ne estrasse gli occhi e se li ficcò, attaccaticci e sanguinolenti, nel corsetto.
Adesso non piangeva più.
Sfilò lo stiletto sacrificale dal collo del suo amore, lo pulì sulle lenzuola e lo ripose nella sua custodia.
Infine alzò le braccia in alto, fece i segni che dovevano essere fatti recitando ad alta voce le Parole, e con un ultimo sguardo al corpo di Enrico svanì nell'aria.