Il giorno in cui Stefano trovò
finalmente casa si aprì con un magnifico mattino di sole, dopo più
di due mesi di un tempo freddo ed umido.
A quell'ora, su a San Martino,
sembrava di essere in un'altra città.
L'aria era tiepida, ed il silenzio
del quartiere, interrotto soltanto dal rumore delle rare auto che
s’inerpicavano lungo la salita verso il piazzale di Castel Sant'
Elmo.
Stefano uscì dalla stazioncina
della Funicolare e sostò per un attimo sul marciapiede, il viso in
pieno sole.
Aveva lasciato alcune centinaia di
metri più in basso il fragoroso centro della città, rimbombante del
suono dei clacson e delle voci dei venditori ambulanti, immerso nella
perenne nebbiolina azzurrognola dei gas di scarico. Era lì che
Stefano abitava da quando era bambino, ma a quella confusione non era
mai riuscito ad abituarsi. Da qualche anno meditava di trasferirsi in
una zona più tranquilla, e più di una volta aveva preso la
direzione della collina, dove gli pareva che l'aria fosse più
respirabile.
Attraversò la strada avviandosi
all'appuntamento con l'impiegato dell'agenzia immobiliare che aveva
da proporgli un appartamento.
Camminava contento, gli pareva che
la giornata quasi primaverile, intrisa del cinguettìo degli uccelli,
fosse di buon auspicio ed era certo che quella mattina avrebbe
concluso una lunga ricerca. L'appartamento si trovava al terzo piano
di uno stabile d'epoca, un vecchio ma decoroso palazzo nobiliare
dotato di un pretenzioso androne, ed un cortile con una fontana
mormorante.
L'impiegato dell'agenzia si sforzava
di magnificarglielo, ma Stefano quasi non lo ascoltava perché già
dall'ingresso aveva deciso che quella sarebbe stata casa sua. Gli era
bastato entrare dalla porta per essere rapito dal panorama che si
scorgeva dal balcone della prima camera. Uscì sul terrazzino
inondato di luce e osservò la città sdraiata a cuocersi al sole,
pigra e sonnecchiante. Il brusio del traffico lontano ricordava il
ronfare di un felino soddisfatto.
La casa aveva altre due camere
luminosissime dalle quali si godeva della stessa vista, più un
cucinino minuscolo e il bagno. Non era in ottimo stato e quando
l'incaricato gli precisò che avrebbe dovuto provvedere in proprio a
qualsiasi lavoro di ripristino, Stefano ebbe un attimo d’esitazione,
ma l'entusiasmo di quella mattina gli fece superare anche quel
piccolo ostacolo e accettò.
Il venditore insisté per siglare
l'accordo con un caffè e scesero in strada al bar sottostante.
Stefano si era sbrigato molto prima di quanto pensasse e decise di
fare un giro dell'isolato per cominciare ad impratichirsi del
quartiere.
Nella piazzetta davanti alla
Funicolare c'era una tabaccheria dove comprò le sigarette, e una
serie di altri piccoli negozi. Passando davanti ad un barbiere, si
specchiò nella vetrina rendendosi conto che era tempo di tagliarsi i
capelli, e quale migliore occasione di quella, visto che
probabilmente quello sarebbe diventato presto il suo "Figaro"?
Tra le poche convinzioni di Stefano
c'era quella che un uomo non dovesse mai portare anelli, mai cambiare
profumo e soprattutto mai cambiare barbiere, ma sapeva benissimo che
un po' per pigrizia e un po' per non tornare al centro, in futuro
avrebbe certamente mancato a quest'ultima regola.
La bottega aveva quell'aria
assolutamente anonima che ha sempre questo tipo di negozio, ma il
proprietario sembrava simpatico. Era un omone baffuto e cordiale che
a dispetto della mole che lo avrebbe destinato con successo a lavori
di gran fatica, si guadagnava da vivere con un mestiere delicato e
quasi femmineo, tra lozioni, lavande e shampoo profumati. Fece
accomodare Stefano su di una poltrona e dopo avergli posto le domande
rituali circa il taglio desiderato, l’intovagliò per bene e si
rimboccò le maniche del camice per lavargli i capelli.
Era un singolare contrasto vedere
quegli avambracci pelosi terminare con delle mani enormi ma lisce e
morbide, senza traccia di calli. Il barbiere si allontanò per andare
a prendere il treppiede con il bacile e in quel momento entrarono
altre due persone. La prima era un uomo anziano con un cappottone
grigio, certamente un vecchio cliente, ma fu la seconda che catturò
l'attenzione di Stefano.
Non aveva mai visto una rossa come
quella.
Per un attimo pensò che potesse
essere la figlia dell'altro, ma sentì che si rivolgeva al barbiere
dicendo:
- Ettore, guarda un po' chi ti ho
portato, il cavalier Riccardi!
Capì che si trattava della moglie
del proprietario quando questi si affacciò dal retrobottega e
salutando il nuovo arrivato, la pregò di occuparsi del suo shampoo.
Solo allora ella sembrò accorgersi di lui e guardandolo riflesso
nello specchio disse:
- Certamente, arrivo subito, il
tempo di posare questi e di mettermi il camice.
Stefano si accorse che aveva alcune
pacchi in mano e capì che la donna, lavorando in aiuto al marito,
usciva per fare la spesa tra i negozi vicini. La seguì con lo
sguardo mentre apriva la porta a soffietto ed entrava nello
sgabuzzino, poi tornò ad incantarsi con l' effetto creato dagli
specchi contrapposti delle due file di poltroncine.
Il gigante baffuto lo distrasse da
quel gioco infantile chiedendo scusa se si occupava prima del
cavaliere, e assicurando che sua moglie era molto più delicata di
lui nel lavare i capelli. Stefano fece un cenno di comprensione e
mentre il barbiere gli volgeva le spalle per servire l'altro cliente,
tornò con lo sguardo nello specchio al punto nel quale sarebbe
dovuta ricomparire la donna.
Il soffietto della porta non era
completamente chiuso, rimaneva lo spazio di un palmo attraverso il
quale si vedeva una lampadina accesa riflessa nello specchio del
lavandino. Improvvisamente nel riquadro di luce comparve una spalla
nuda sovrastata da una massa di capelli color rame. La donna
evidentemente si era tolta l'abito per indossare il camice da lavoro
e mentre armeggiava nell'angusto spazio dello stanzino Stefano riuscì
a scorgere, riflesso nello specchio alla parete, il lato destro del
suo viso, la linea delicata del collo e l'ampia curva del seno
costretto in una coppa nera.
Leggermente a disagio, lanciò
un'occhiata in direzione del marito che stava sforbiciando alle sue
spalle, e quando si girò di nuovo, lei stava uscendo dallo
sgabuzzino reggendo il treppiede per lo shampoo.
Gli sistemò l'aggeggio sotto la
nuca e cominciò a miscelare l'acqua.
Stefano approfittò di quel momento
per poterla osservare meglio.
Era il prototipo della donna
desiderabile.
Il viso, bellissimo, era come
circonfuso dai riflessi della lunga capigliatura, gli occhi verdi
brillavano sotto le sopracciglia folte, la bocca aveva labbra carnose
dagli angoli leggermente piegati verso il basso che le conferivano un
aspetto avido, sensuale.
L'insieme gli ricordava l'immagine
di una tigre di peluche dagli occhi di vetro, che aveva posseduto da
bambino.
Portava un camice a quadratini rosa
con un collettino bianco e una scollatura molto ampia che metteva in
risalto la carnagione bianchissima, spruzzata da una miriade di
lentiggini.
Si accorse di essere guardata con
attenzione e gli sorrise con simpatia dicendo semplicemente:
- Io sono Valeria.
- Piacere - riuscì a rispondere
Stefano a cui la lingua si era attaccata al palato.
Gli chiese ancora se la temperatura
dell'acqua era giusta, poi gli bagnò i capelli.
Stefano aveva la testa completamente
rovesciata all'indietro e da quella posizione poteva soltanto
guardare il soffitto, o alzando ancora di più lo sguardo, incontrare
quello di lei.
Decise di tenere gli occhi chiusi
per evitare istanti d’imbarazzo, ma questo lo concentrò ancora di
più sulla piacevole sensazione delle dita che gli massaggiavano ora
la testa, ora la nuca, frugandogli tra i capelli e accarezzandolo
dietro le orecchie. Gli pareva di avere il capo poggiato direttamente
sul suo seno. Sentì un noto gonfiore premergli nei pantaloni e
controllò che il lenzuolo lo coprisse fino alle ginocchia.
Quando lo shampoo finì, la signora
Valeria gli avvolse la testa in un asciugamani e lui si tirò su a
sedere strofinandosi i capelli. Lei non lo aiutò, ma avvisò il
marito che poteva procedere con il taglio, poi sedette in una
poltroncina di spalle alla sua a sfogliare una rivista.
Il signor Ettore fu rapido e preciso
e con il ripetere meccanico dei gesti terminò in breve il suo
lavoro. Durante tutto il tempo però, non disse una sola parola,
soltanto ogni tanto gettava alla moglie sguardi che lei non ricambiò
mai.
Stefano, mentre sedeva nel vagone
della funicolare credette di aver capito che i due non andassero più
d'accordo e si proiettò in mente un film a luci rosse a suo
esclusivo beneficio.
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Nelle settimane successive, Stefano
si organizzò per seguire da vicino l'impresa a cui aveva affidato i
lavori di ripristino dell'appartamento.
Aveva preso l'abitudine di alzarsi
molto presto e di salire a S. Martino con una delle prime corse della
funicolare in maniera da arrivare al cantiere prima degli operai, e
verificare i lavori del giorno precedente. Poi, dopo aver parlato con
il capomastro, scendeva in strada e andava dal barbiere per farsi
radere, o per meglio dire andava dal barbiere per guardare la signora
Valeria mentre il marito gli faceva la barba.
Il rituale era lo stesso della prima
volta, con la differenza che quando non c'erano altri clienti ed
Ettore gli dedicava tutta la sua attenzione, gli riusciva alquanto
difficile sbirciare il riflesso della porta socchiusa sentendo la
lama del rasoio che gli accarezzava la gola.
Stefano non aveva ancora capito se
la donna si fosse accorta della sua attenzione, ma tutto sommato gli
bastava che la ignorasse il marito.
Ettore, dal canto suo, doveva
essersi da qualche tempo abituato al pensiero che gli altri uomini
guardassero la moglie immaginandola nuda, ma Stefano non comprendeva
se l'apparente assenza di gelosia derivasse dalla certezza di un
amore profondo o dalla mancanza totale d’interesse.
Fatto sta che la signora Valeria non
dava mai adito a sospetti di alcun genere, e oltre a quella faccenda
della porta a soffietto semiaperta, non concedeva mai ad alcuno
sguardi o una parola che potesse essere male interpretata.
Stefano si era ormai rassegnato al
fatto d’essere trasparente agli occhi di lei e si accontentava di
quell'innocente strip-tease mattutino, che gli lasciava immaginare
voluttà carnali irraggiungibili.
I lavori intanto procedevano, e un
martedì che Stefano si era trattenuto a lungo a casa per definire
alcuni particolari dell'impianto di riscaldamento, arrivò dal
barbiere più tardi del solito. C'erano diversi clienti e la signora
Valeria che si era già cambiata, sedeva in una delle poltroncine
limandosi le unghie.
Ettore lo salutò cordialmente:
- Ingegnere, qui c'è un pochino da
attendere, non è che voi dovete fare qualche altro servizio da
queste parti?
- Veramente - rispose Stefano - io
di solito a quest'ora prendo già la Funicolare, ma posso aspettare,
vuol dire che mi leggerò il giornale.
- Venga, ingegnere - intervenne la
signora Valeria chiudendo la sua rivista - approfitto per farle il
manicure.
Stefano aveva sempre pensato che il
manicure fosse una cosa da effeminati e stava per respingere
l'invito, ma poi pensò che farsi accarezzare le mani dalla signora
Valeria non doveva essere poi una sensazione tanto spiacevole.
Lei lo fece accomodare sulla
poltroncina più in fondo al locale, come se quella pratica fosse un
fatto intimo, da svolgere in disparte. Prese uno sgabello basso e
sedette di fianco a lui aprendo un borsellino pieno di strumenti
luccicanti.
- Come mai sei arrivato tardi? -
chiese senza alzare lo sguardo.
Stefano non si aspettava una domanda
così diretta, ma più che questa, fu che lei gli desse
improvvisamente del tu ad imbarazzarlo.
- Dovevo sistemare la caldaia del
riscaldamento.- farfugliò.
- Davvero?- ribatté lei guardandolo
dritto negli occhi - anche noi abbiamo la caldaia dell'acqua che non
funziona più bene, una volta o l'altra potresti darci un'occhiata.
Ne capisci di caldaie, tu?
- Pochino... - mormorò Stefano, e
deglutì a vuoto.
- Sta nello sgabuzzino. Quello con
la porta che non chiude bene, per intenderci, non ci hai mai fatto
caso?
Stefano si sentì morire dalla
vergogna. Evidentemente Valeria aveva scoperto di essere spiata
mentre si spogliava e adesso si sentiva in diritto di dargli del tu e
di mortificarlo.
Gli aveva messo la mano dentro una
vaschetta di plastica piena d’acqua tiepida e stava frugando tra
limette e forbicine alla ricerca dello strumento migliore per
torturarlo. Stefano guardò nello specchio il marito che sforbiciava
poco lontano, ma gli sembrò che non si fosse accorto del loro
colloquio. Lei gli prese la mano e cominciò a lavorare. Dalla
posizione più alta Stefano poteva distinguere ciascuna delle
lentiggini che le scurivano la pelle e che s’infittivano nel
profondo solco tra i seni.
- Allora?- chiese lei ad alta voce -
mi promette che ci darà un'occhiata?
- Certo - rispose Stefano che si era
accorto di Ettore che veniva verso di loro.
- Va tutto bene? - domandò lui -
ancora un po' di pazienza!
- Ho chiesto all'ingegnere di dare
un'occhiata alla nostra caldaia, giacché se ne intende - disse
Valeria.
Il marito la guardò fisso per un
lungo momento.
- La nostra caldaia funziona
benissimo - ruggì a denti stretti.
- Non è vero - rintuzzò lei con
tono di sfida - sono sicura che ha qualcosa che non va!
Ettore quasi tremava mentre parlava
con la moglie, e il suo sguardo sembrava volerla incenerire.
- Lo so io chi è che ha qualcosa
che non va, qui! - mormorò allontanandosi.
A Stefano sembrò eccessiva una
reazione tanto esagerata, a meno che quella conversazione non fosse
una specie di codice tra i due e che le parole non sottintendessero
tutt'altro. Per un attimo aveva temuto addirittura che l'uomo alzasse
il rasoio che teneva nella destra verso la moglie.
Per di più aveva assistito al
duetto con la mano tra quelle di lei e il suo disagio era al massimo.
Si mosse sulla poltrona.
- Stai fermo, che con questa ho
quasi finito. Intanto tieni l'altra nella ciotola. - gli intimò
Valeria.
Il grembiule rosa che portava, era
leggermente stretto e formava tra bottone e bottone una serie di
spazi nei quali Stefano intravedeva spicchi di rosea morbidezza.
Quella donna lo eccitava in un modo che non aveva mai provato prima.
Ora aveva preso un piccolo quadrato di cotone e dopo avergli
asciugato le dita se lo mise in grembo poggiandoci sopra la sua mano.
- Dammi l'altra. - gli ordinò.
Stefano ubbidì docilmente e intanto
guardava nello specchio il signor Ettore che lavorava alle sue spalle
qualche poltrona più in là. Gli sembrò che fosse ancora arrabbiato
per la faccenda di poco prima. Si muoveva più velocemente del
solito, a scatti, quasi volesse terminare rapidamente con gli altri
clienti per sottrarlo alle cure di sua moglie.
Adesso sentiva il tepore della
coscia di lei attraverso il tessuto sottile dell’asciugamano, e
mosse impercettibilmente le dita. Valeria non diede segno di
essersene accorta. Continuava a scalzare pellicine e limare unghie.
Lentamente, con il cuore in tumulto, Stefano mosse la mano fino ad
infilare le dita nell'ansa tra due bottoni, avvertendo la consistenza
serica delle calze di nylon, tese sulla carne. Accentuò la pressione
e s’insinuò nello stretto spazio tra le sue gambe. I pantaloni gli
scoppiavano e gli sembrava che anche lei respirasse più velocemente,
ma quando tentò di muovere la mano verso l'alto, Valeria strinse le
cosce imprigionandogli le dita e impedendo qualsiasi altro movimento.
Alzò il viso verso di lui
guardandolo dritto negli occhi.
- Io qui ho finito - disse - e tu?
Stefano ritirò lentamente la mano e
si asciugò l'altra.
- Ma tu, - chiese sottovoce - che
cosa vuoi da me?
- Niente, solo uno sguardo alla
caldaia - rispose lei, e rivolta al marito: - Ettore, l'ingegnere è
tutto per te!
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Dopo quella volta Stefano, che si
sentiva comprensibilmente confuso, evitò di passare dal barbiere per
qualche giorno.
L'impressione iniziale che in quei
due ci fosse qualcosa di strano sembrava confermata dal battibecco
cui aveva assistito, e non aveva nessuna intenzione di finire
affettato a rasoiate da quell'energumeno, nemmeno per i begli occhi
di madama Valeria. Dal tipo di reazione del signor Ettore, si sarebbe
detto che la caldaia del negozio si rompeva spesso…., e d'altro
canto non riusciva a capire perché Valeria, invece di proporgli un
incontro altrove, avesse provocato il marito con quella storia.
Ma poi si convinse che tutto sommato
non aveva niente da temere, che avrebbe potuto tirarsi indietro in
qualsiasi momento, e comunque si trovò tutta una serie di buone
scuse che gli agevolarono la strada verso la bottega del barbiere.
Quando, di mattina presto, entrò di
nuovo nel negozio, gli parve che il signor Ettore fosse sorpreso. Se
non fosse stato così, infatti, almeno gli avrebbe chiesto come mai
era mancato per alcuni giorni, invece si limitò a salutarlo
freddamente, invitandolo a sedersi.
- Forse
- pensò Stefano - era
così convinto di non vedermi più che non sa neppure lui cosa dirmi.
Come al solito, era il primo cliente
della giornata, e mentre Ettore gli stava ancora insaponando il viso,
con un incedere da leopardo fece il suo ingresso la signora Valeria.
- Ingegnere! - cinguettò appena lo
vide - Da quanti giorni non la si vedeva! Ci è mancato molto sa?
Ettore senza guardarla affilava il
rasoio sulla correggia.
- Oggi deve assolutamente dare uno
sguardo alla caldaia - proseguì lei - altrimenti rischierà di fare
lo shampoo con l'acqua gelida - e si diresse verso lo sgabuzzino.
Alle parole della moglie il barbiere
si era bloccato, come se qualcuno gli avesse calato una bastonata
sulla nuca. Poi voltandosi verso Stefano disse con tono quasi
implorante:
- La prego ingegnere, non si
disturbi, la nostra caldaia funziona benissimo!
Stefano lo guardò perplesso, senza
rispondergli. Non capiva cosa stesse succedendo, ma si sentiva preso
in un gioco dal quale non sapeva venire fuori.
Ettore cominciò a raderlo con
attenzione, in silenzio.
La porta a soffietto semiaperta si
rifletteva nello specchio, e nel riquadro ancora una volta comparve
la spalla nuda di Valeria. Stefano la fissava incantato, ma questa
volta vide distintamente l'indice di lei infilarsi sotto la spallina
del reggiseno, facendola scivolare lungo il braccio.
Il rasoio gli graffiava la pelle
sotto il collo e lui distolse lo sguardo per osservare il viso di
Ettore. L'uomo sembrava concentratissimo sul suo lavoro, - Anche
troppo per un'operazione così consueta
- pensò Stefano - ma
forse preferisce non guardare.
Intanto la donna ancora non usciva e
lui tornò a spiare la porta dello stanzino. Vedeva lo specchio
appeso alla parete, e sull’attaccapanni a muro il reggiseno che
Valeria aveva sfilato, poi di nuovo la sua spalla che si abbassava in
avanti, come se si stesse chinando verso terra. Quando si rialzò, la
mano reggeva un paio di mutandine nere che furono collocate sul
gancio insieme al reggipetto e coperte con un camice.
Il cuore di Stefano pompava a più
non posso, sentiva lo stomaco annodato e un’ondata di calore che
gli saliva alla testa. Accennò un sorriso tirato al signor Ettore,
quasi a proclamare la propria innocenza, ma questo stava rifinendo la
sua opera e sembrò non accorgersene nemmeno.
In quel momento entrò nel negozio
il cavalier Riccardi che fu accolto da Valeria, uscita alla luce
mentre ancora si abbottonava la divisa.
Stefano non respirava, il pensiero
che sotto il camice rosa lei fosse completamente nuda lo faceva star
male dal desiderio.
Ettore era scuro in viso, gli
spruzzò un po' di dopobarba e rimase in attesa che pagasse e
salutasse, come al solito.
La moglie intervenne:
- Ettore, comincia pure col
cavaliere, al signor Stefano penso io.
Era la prima volta che lo chiamava
per nome davanti al marito, e Stefano notò il piccolo gesto di
rabbia impotente quando passandole accanto, il signor Ettore la
guardò, stringendo i pugni.
Tirò fuori il portafogli e prese
una banconota, quando lei lo rimproverò:
- Ingegnere, se ne stava
dimenticando, aveva promesso di farmi quel servizio!
- Ah, .... è vero - si scusò lui -
...me n'ero scordato!
Ettore non li degnò di uno sguardo,
mentre la moglie si avviava verso il retro, solo disse con tono di
rimprovero:
- Valeria! - che in altra
circostanza avrebbe potuto significare "non approfittare così
della gentilezza di un cliente", ma in quel momento sembrò
avere una chiara venatura di minaccia.
La donna non dette segno di aver
sentito e s’infilò tranquillamente nello sgabuzzino. Stefano
invece esitò un attimo, e di nuovo colse uno sguardo quasi
implorante del marito, che gli chiedeva in quel modo di non entrare
lì dentro.
Stefano alzò le spalle come a dire
"che ci vuol fare, quando le donne si mettono in testa una
cosa...", poi fece altri pochi passi e varcò la soglia della
stanzetta.
Valeria era appoggiata con le reni
al lavandino, le mani sul bordo, e teneva le gambe leggermente
divaricate. Aveva il camice aperto abbassato intorno alle spalle e le
punte brune dei seni svettavano tra i bottoni. Quando lo vide entrare
incassò la testa nelle spalle, come un gatto che si prepari a
saltare e sibilò tra i denti:
- Dove cazzo sei stato in questi
giorni?
Stefano rimase di sasso. Nonostante
quello che aveva visto nello specchio, si aspettava un bacio, magari
qualche toccatina, ma non era preparato al fatto che lei volesse
scoparselo lì dentro, con il marito di fuori.
Per di più in quel momento sentì
un nuovo richiamo di Ettore alla moglie.
Balbettò qualcosa, mentre lei lo
afferrava per un braccio, attirandolo a sé.
Il profumo della sua pelle gli
andava dritto al cervello, ma mentre stava chinandosi per baciarla,
da un punto molto vicino alla porta dello sgabuzzino Ettore urlò il
nome di Valeria.
Stefano si liberò della stretta e
aprì la porta a soffietto.
Fuori, a qualche passo da lui il
barbiere lo fissava stravolto, mentre il cavalier Riccardi, con la
faccia insaponata osservava meravigliato la scena.
L'uomo gli tese la sinistra con il
palmo aperto verso l'alto, come se volesse mostrargli qualcosa che
aveva in mano, poi con un movimento deciso, ci poggiò sopra la lama
del rasoio e l'affondò.
Stefano, attonito, guardava come
ipnotizzato la carne che si apriva sotto la pressione dell'acciaio e
il sangue che ne scorreva a macchiare il pavimento.
Fu il grido del cavalier Riccardi a
svegliarlo da quella trance, subito afferrò il polso del signor
Ettore che lasciò cadere il rasoio, e cercò con lo sguardo qualcosa
che potesse fermare l'emorragia.
Dallo stanzino alle sue spalle non
proveniva alcun suono.
Il barbiere crollò su una
poltroncina come un mucchio di vestiti vuoto, e lasciò che Stefano
gli avvolgesse la mano in un tovagliolo, che subito s’inzuppò di
sangue. Il cavalier Riccardi dalla soglia del negozio chiedeva aiuto
a gran voce, e in un attimo il locale si riempì di gente.
Stefano approfittò di quel momento
per uscire in strada ed allontanarsi, sconvolto. In funicolare tentò
di coprire gli schizzi di sangue che gli arrossavano i pantaloni con
le pagine di una rivista, e si rese conto che le mani gli tremavano.
Percorse la notte dal letto alla
poltrona, dal balconcino alla cucina, ma al mattino la decisione era
presa.
Chiamò l'impresa che stava
eseguendo il ripristino del nuovo appartamento e pregò di
interrompere il lavoro, perché per motivi personali era costretto a
vendere la casa immediatamente, nelle condizioni in cui si trovava.
Con la telefonata successiva affidò
quest'incarico alla prima agenzia immobiliare che trovò sulle Pagine
Gialle. Per il sopralluogo potevano rivolgersi al portiere del
palazzo, che aveva le chiavi.
No, lui non era in condizione di
accompagnarli.
Soffriva di claustrofobia, e per
niente al mondo avrebbe preso la funicolare che porta a San Martino.
Gustav Klimt "Danae"