Natale è il periodo più fantastico
dell'anno.
Se poi hai undici anni come Massimo
e già ti immagini due intere settimane senza scuola, allora davvero
il Natale ti brucia nelle mani e nelle gambe, ti entra nel naso con
l'odore forte degli abeti tagliati di fresco, ritti come soldati sui
marciapiedi, stretti forte l'uno all'altro come per riscaldarsi un
pochino nell'aria gelida che sa di fumo, dove il
respiro si condensa in un vapore impalpabile.
Il freddo forte taglia la faccia e
fa lacrimare gli occhi, ma bisogna uscire di casa in questi giorni,
bisogna star fuori, ci sono troppe cose da fare, da vedere e da
ricordare: nuovi pastori da andare a comperare a S. Gregorio Armeno
tra infinite bancarelle, le luminarie, gli zampognari che per strada
suonano la novena davanti ai negozi, le vetrine scintillanti di via
Scarlatti, i giocattolai che espongono enormi pupazzi di Lego e
trenini elettrici in funzione, le pasticcerie stracolme della
migliore produzione di mostaccioli, pasta di mandorle, cassate
siciliane, struffoli e panettoni, pandoro e pastiere.
Le salumerie hanno già esposto
grandi mastelli nei quali galleggiano peperoni verdi da fare ripieni,
e l'odore forte dell'aceto ti entra nel naso mentre tua madre compra
olive, cipolline e alici per l'insalata di cavolfiore da preparare la
sera della vigilia. Il pescivendolo ha messo fuori del negozio
lunghe vasche azzurre illuminate da lampare, dove si contorce un
groviglio sinuoso, nero e lucido, che quando il retino cala si dipana
prendendo forma d'anguilla.
Nel vento gelato che sa di neve c’è
tutto questo e Massimo, scendendo di corsa le scale della funicolare,
queste cose le sentiva tutte insieme, e se li beveva questi odori del
Natale che gli entravano nella bocca, gli saturavano il naso, e le
mucose delle sue narici gli comunicavano segnali confortanti,
rassicuranti, sulle cose che sarebbero accadute in quei giorni,
infondendogli fiducia, perché quando si è bambini ci sono cose che
devono essere sempre le stesse perché fanno parte di noi, e il
Natale è una di queste.
E in fondo, di cosa sono fatte
queste feste se non di piccole cerimonie che si perpetuano nel tempo,
a cominciare dalla preparazione dell'albero, con la meraviglia di
riscoprire le decorazioni che messe via l'anno precedente adesso
tornano fuori una alla volta, liberate dalla carta velina nella quale
hanno dormito dodici mesi chiuse in vecchie cassette di liquore. E
Massimo se le rammenta una per una quelle fragili bolle di vetro
dalle forme bizzarre, e a lui tocca l'onore di mettere il puntale
sulla cima dell'abete, come atto conclusivo di quell'ingenuo rituale.
Alcuni preparativi poi, iniziano
parecchio tempo prima di dicembre.
Quando suo padre cominciava a
costruire il presepe infatti, era forse ancora ottobre, e in una
domenica di sole andavano sulla spiaggia a raccogliere la sabbia per
fare le montagne, e poi in pineta a Castelvolturno a staccare da
qualche albero la corteccia che sarebbe servita per simulare il
basolato delle strade, muschio per la chioma degli alberi, pietrisco
di varie dimensioni da passare al setaccio per i muretti e i viottoli
tra i campi. Nella bottega di qualche ferramenta di paese comperavano
una scopa di saggina dalla quale ricavare le sagome degli alberi
scheletriti dall'inverno e nei giorni seguenti sarebbe stato tutto un
martellare e un raspare, rete metallica e carta di giornale, e
l'odore del Vinavil si sarebbe mescolato a quello del grano cotto nel
latte, dell'acqua di millefiori, del cedro, dei mandarini freschi e
dei meloni d'inverno.
Massimo passò correndo davanti alla
bottega del barbiere e svoltando l'angolo di piazza Vanvitelli quasi
si scontrò con Mario, vicino di pianerottolo e suo miglior amico.
Avevano appuntamento per la prima delle numerose tombole che si
sarebbero susseguite fino all'Epifania.
- Ehi, dove corri? - salutò Mario -
siamo in anticipo!
- Lo so, - rispose Massimo - ma devo
comprare una cosa.
- Un regalo?
- Macché... quello ce l'ho già,
devo comprare un biglietto.
Si infilarono in una cartoleria e
dopo una scelta meticolosa che occupò alcuni minuti, presero un
bigliettino rosso con un nastrino dorato.
Già, perché nonostante tutto,
questo Natale non sarebbe stato proprio come gli altri. Era il primo
anno delle medie e senza che loro se ne accorgessero, senza che
niente li avesse preavvisati, qualcosa in loro era cambiato.
Durante l'estate erano stati troppo
occupati a correre, nuotare e andare in bici per rendersene conto, ma
da settembre, al contatto con i nuovi compagni avevano avvertito un
sottile cambiamento, e proprio il primo giorno di scuola, durante
l'appello, quando il suo sguardo aveva incrociato quello di Federica,
Massimo aveva percepito un frullo d'ali nello stomaco mai sentito
fino ad allora, e al quale si rifiutava ostinatamente di dare un
nome.
Ed era cominciato così una sorta di
inseguimento, un gioco di segnali impercettibili che i due si
lanciavano a distanza, senza avere il coraggio di avvicinarsi, e
adesso....
Adesso Massimo camminava spedito con
un pacchettino che nella tasca del giubbotto sembrava diventato
enorme, e la sua attenzione era tutta concentrata su quello che
sarebbe successo a casa di Luca quella sera.
- Che diavolo le posso dire?
- Tu non dirle niente, dalle il
braccialetto e basta - suggerì pratico, Mario.
- Già, così quella capisce che é
il solito regalo di Natale e buonanotte.
- Ma tu perché non glielo scrivi
nel biglietto?
- Quanto sei furbo! E se il
biglietto lo vede anche qualcun altro?
Il problema sembrava senza
soluzioni.
Si fermarono davanti ad una vetrina
che esponeva giochi per computer scambiandosi qualche parere, ma
erano distratti, svogliati, in quel momento persino Natale sembrava
più lontano e anche se sapevano che di lì a qualche giorno si
sarebbero incontrati di mattina a casa dell'uno o dell'altro, ancora
in pantofole, con la vestaglia indossata sul pigiama con i giochi
nuovi tra le mani, anche se sarebbero andati insieme alla messa di
mezzanotte, anche se avrebbero tossito insieme sul balcone in mezzo
al fumo, tra girandole di fuoco, vulcani che eruttano lapilli, scoppi
che scuotono i vetri e la terra, e avrebbero bevuto lo spumante
ghiacciato nei bicchieri di cristallo buono, ora niente era più
importante di una semplice frase, di poche parole da dire con voce
incerta.
Ma viene sempre un momento in cui
qualcosa si infila tra te e il resto delle cose, e cambia il tuo
punto di vista così repentinamente che ti sembra che cominci una
stagione diversa.
Si fermarono davanti al portone del
palazzo di Luca.
- Siamo arrivati - sentenziò Mario
- che vogliamo fare?
- Torniamocene a casa.
- Tu sei scemo, stasera c'è anche
Valentina!
- Si..... ma che le dico?
- Che ne sai, può darsi che c’ha
la febbre e non viene!
Salirono a piedi, lentamente, per
concedersi ancora qualche istante per pensare a cosa dire, poi
bussarono alla porta.
Venne ad aprire Luca, che nel
salutarli fece l'occhietto a Massimo confermando: - Federica é già
arrivata.
Massimo si sentì le gambe di
cemento, non solo Federica era già lì, ma tutta la faccenda
sembrava allegramente di dominio pubblico!
Sfilò il pacchetto dal giubbotto
prima di appenderlo all'attaccapanni e se lo ficcò in tasca.
Entrarono nella cucina per salutare la mamma di Luca, poi nella sala
da pranzo dove in un angolo troneggiava un maestoso abete natalizio.
Sul tavolo rettangolare che occupava quasi tutta la stanza c'erano
già le cartelle della tombola e alcuni piattini pieni di fagioli
secchi. Federica era seduta sul divano insieme a due compagne tra le
più pettegole, che al loro ingresso si scambiarono uno sguardo
d'intesa e scoppiarono a ridere. Massimo avrebbe voluto sprofondare
nel pavimento, ma sentì che Mario lo spintonava e si accorse che
Federica senza neppure guardarlo, si allontanava dal gruppetto
uscendo da una porta laterale.
Salutarono le altre bambine e si
sedettero. La scatolina del regalo faceva un bozzo sulla tasca troppo
evidente e Massimo per prudenza si alzò, poi visto che Federica non
rientrava e che gli altri erano occupati in conversazione, prese
coraggio e si affacciò sulla porta laterale che dava nell'ingresso
buio.
- Federica...? - azzardò - ...
Federica... sei qui?
Non ebbe risposta ma gli sembrò di
scorgere la sagoma della bambina accanto all'appendiabiti.
Avanzò esitante.
- Federica.... non provare a
spaventarmi!
Ancora nessuna risposta, ma l'ombra
più scura si mosse.
- Dove si accende la luce? - domandò
Massimo.
- E che te ne importa? - rispose una
voce dal buio.
“ Già - pensò lui - che me ne
importa, mica ho paura!”
Fu in quel momento che si sentì
tirare per un braccio nel più fitto dell'ombra e avvertì sul viso
il solletico dei suoi capelli. Qualcosa di meravigliosamente morbido
gli si poggiò per un istante sulle labbra e gli soffiò: - Buon
natale, scemo!
Non seppe mai dire per quanto tempo
rimase seduto al buio sulla panca dell'ingresso, con un pacchetto
nelle mani e l'altro ancora nella tasca dei pantaloni.
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