Ovviamente
ho una chiave per la porta di casa.
Una
per il portone.
Una
per la cantinola.
Una
per il garage.
Una
per il portoncino che immette nel garage.
E
un telecomando per la porta basculante.
E
una chiave per il cancello di fuori.
Con
un telecomando.
E
una chiave per il cancelletto pedonale.
E
una per la cassetta delle lettere.
Naturalmente
ho una chiave per l'automobile.
Una
del bloccasterzo.
E
una per il portone dei miei.
Una
del cancello del loro cortile.
Con
il relativo telecomando.
Le
chiavi di casa loro.
E
la chiave del portoncino che dà nel cortile.
Un
telecomando per la sbarra sotto casa di Massimo.
E
anche le chiavi di casa sua per qualsiasi evenienza.
In
auto tengo anche il telecomando del cortile di Luciano, per trovare
posto quando ci vado.
Un'altra
chiave mi serve per il cancello di quello dell'ufficio, dove metto
l'auto.
E
una per la porta dell'ufficio.
Ho
una copia di molte di queste chiavi che conservo in un cassetto con
dei bigliettini che servono a farmele riconoscere.
Ho
anche un barattolo di vetro pieno di chiavi che non so di cosa sono,
ma che non ho il coraggio di buttare via.
L'altro ieri
sera sono uscito per andare a prendere Anna a casa di un'amica.
Chiudere
la porta di casa e realizzare che avevo lasciato le chiavi sul mobile
dell'ingresso è stato un attimo.
L'attimo
nel quale ti rendi conto che hai fatto una mossa sbagliata e non puoi
più rimediare.
E'
quel momento quando capisci che hai detto “filglio di puttana” a
uno che lo è davvero, è più grosso di te, e fa parte del Clan dei
Casalesi.
E
dall'auto non scende da solo, scendono in quattro.
Tornando
ad Anna, naturalmente lei non si era portata la borsa con le sue
copie.
Dico
“naturalmente” perchè quando il Dio delle Cose decide che ti
deve fare incazzare, si organizza bene.
Ma
tu no.
Hai
con te le chiavi della macchina piccola, e vai a casa dei tuoi dove
ti sembra di ricordare che una volta, in un accesso di buonsenso, hai
lasciato una copia delle chiavi da casa tua perchè non si può mai
sapere.
Arrivi
a casa loro, ma non hai le chiavi né del portone, né di casa, nè
del cancello grande del cortile, nè del portoncino che dà nel
palazzo.
Tuo
padre alle undici di sera ha la buona abitudine di mettere le cuffie
per ascoltare la tv senza svegliare tua madre.
E
non sente il citofono.
Ma
tu hai il cellulare e alla fine riesci a farti aprire.
Le
copia delle chiavi che ricordavi di aver lasciato a casa loro c'è,
ma è della vecchia serratura che hai fatto cambiare l'anno scorso.
A
questo punto non sei nemmeno più incazzato.
Sei
rassegnato.
Anna
per fortuna è più lucida di te, e si ricorda che la signora delle
pulizie ha una copia delle chiavi, che utilizza per entrare quando
non siete in casa.
Ma
la signora non risponde al telefono di casa e non è raggiungibile al
cellulare.
Però
sappiamo dove abita.
Ci
andiamo e aspettiamo in auto che torni dalla cena in pizzeria.
E
così finalmente possiamo rientrare in casa.
Mi
ricordo che in vacanza a Spello in Umbria, ma anche in Lucania, o ad
Alberobello, notai che i portoncini dei palazzi avevano un foro, e
che da questo a volte fuoriusciva una cordicella.
Mi
spiegarono che la persona che usciva, prima di chiudere il portone,
infilava nel foro la cordicella che era legata al catenaccio,
facendola penzolare al di fuori.
Così
non era costretto a portarsi dietro le chiavi.
Semplice
no?
G.
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