Questa
è una storia vera, che io semplicemente riporto.
Con presunzione, mi
piace pensare che sarebbe potuta piacere a J.L.B.
La
prima parte di questo racconto è stata immaginata da un aspirante
scrittore a Montevideo nei primi anni del '900.
Ne
è autore un tale Ernesto Guerreri, figlio di emigrati italiani in
Uruguay, che sogna di diventare un autore di successo. Dopo gli studi
classici, perseguendo questa sciagurata ambizione si iscrive alla
facoltà di lettere dell'università di Montevideo. E' un ragazzo
brillante, dal facile eloquio e dal portafogli sempre gonfio. Suo
padre ha fatto fortuna insieme ai fratelli con una ditta di
importazione di caffè, e non lesina sul danaro purché suo figlio
coroni le proprie aspirazioni.
Negli
anni in cui studia all'ateneo, Ernesto si iscrive ad un circolo
letterario della città, partecipando con entusiasmo insieme con gli
altri studenti, alla redazione di un foglio nel quale vengono
pubblicate le opere degli associati. E' un avido lettore di racconti
di spionaggio, lo affascinano le trame misteriose e i racconti
polizieschi, predilige quelli di Arthur Conan Doyle.
Al
termine di quella esperienza e degli studi, la sua fantasia
partorisce un romanzo dal titolo “El Pirata”, ambientato in una
capitale di fantasia che ricorda molto Lisbona, dove si fronteggiano
un pericoloso rivoluzionario e il capo dei servizi segreti, suo
dichiarato nemico.
Di
costui sappiamo che è un uomo rude e spietato capace di farsi strada
fra i ranghi della polizia in modo deciso, fino a raggiungere l'apice
della carriera diventando il capo del braccio repressivo del regime.
E' un personaggio quasi leggendario questo Ferreira, temuto e
rispettato dai suoi sottoposti, che conoscono bene la sua mania per
la segretezza, pari solo all'altra sua passione, la musica lirica. Ha
costituito un dipartimento trasversale all'interno della polizia
segreta, strutturato in forma rigidamente piramidale. Gli uomini che
lo compongono rispondono solo a lui, non si conoscono fra loro, e
nessuno di essi ha mai visto la sua faccia. Gli ordini vengono
trasmessi esclusivamente per via telefonica o tramite messaggi
scritti.
L'assoluta
segretezza è per lui garanzia dell'impenetrabilità del sistema.
Guerreri
gli contrappone come antagonista Miguel Serrano, un uomo semplice,
una specie di giustiziere di campagna che si oppone alla dittatura.
Anche lui è una leggenda fra la povera gente, lo chiamano “El
Pirata”. Si dice che con il suo coltello abbia ucciso sei uomini.
Ha il viso attraversato da una profonda cicatrice causata dalla
rasoiata di una donna. Tutta la prima parte del libro è dedicata
alla descrizione e alla storia dell'eroe proletario. Egli partirà
dalle campagne soggiogate dal tallone di ferro della tirannia e
ridotte alla miseria dalle razzie del regime, per giungere nella
capitale ed assassinare il dittatore.
La
polizia però, avvertita da un delatore, è già in allerta.
Lo
catturano addirittura alla stazione ferroviaria appena sceso dal
treno, e lo trattengono per cinque giorni.
In
uno di questi, a condurre un interrogatorio particolarmente feroce, è
proprio Ferreira che desidera accertarsi di persona della
pericolosità dell'individuo. Serrano è condotto nello scantinato
della questura, viene bendato e fatto sedere in una cella vuota, con
le mani legate dietro alla schiena. Alla luce incerta dell'unica
lampadina riceve i primi colpi che gli arrivano improvvisi e violenti
sulla faccia, alle reni, nei testicoli. Le urla del prigioniero sono
coperte da un grammofono acceso che suona a tutto volume alcune arie
del “Barbiere di Siviglia” di Rossini. Il suo torturatore le
canticchia fra i denti mentre e gli gira attorno colpendolo ancora, e
poi ancora. Vuole sapere di piani, di trame ancora inesistenti, vuole
conoscere particolari di un' idea che si è solo manifestata, ma non
ancora definita nella mente di Serrano. Un pugno più violento di
altri, lo fa cadere dalla sedia, e gli scosta per un attimo la benda
dagli occhi. In quell'istante, l'immagine del volto di Ferreira si
imprime indelebilmente sulla retina e nella mente di Serrano.
Al
termine dell'interrogatorio senza esito, l'uomo viene riportato in
cella pesto e sanguinante, a languire sul pavimento bagnato del suo
sangue e della sua orina.
Quando
viene rilasciato, Serrano si dà alla latitanza, ma uno degli uomini
della polizia segreta viene immediatamente messo sulle sue tracce.
Ferreira ha capito che ancora non esiste il piano preciso per un
attentato, ma non è del tutto convinto che il giovane rinunci ai
suoi propositi, così stupidamente vantati in pubblico al suo paese.
All'agente scelto Santiago Cruz perviene dunque una nota di servizio
che gli ordina di pedinare Serrano senza lasciarlo un attimo, ma
senza assolutamente intervenire, riferendo tutte le sere per iscritto
sulle sue mosse. La comunicazione deve avvenire esclusivamente
tramite rapporti inviati ad una casella postale, la segretezza
dev'essere assoluta.
L'autore
del romanzo ci rivela di come i propositi del “Pirata” siano
stati in parte modificati dall'interrogatorio a cui è stato
sottoposto. Il fine ultimo è sempre la preparazione dell'attentato
al dittatore, ma l'altro obiettivo adesso è rintracciare e
vendicarsi del poliziotto che lo ha picchiato a sangue.
E
qui la storia prende una sorprendente accelerazione. Dopo alcuni
giorni trascorsi in città a riprendersi dal pestaggio, in poche
pagine vediamo l'agente Cruz seguire Serrano in una serata di pioggia
fino al teatro dell'Opera. Va in scena la prima del “Barbiere di
Siviglia”. Il ragazzo si aggira fra la folla elegante, come se
cercasse un contatto, qualcuno che conosce. All'improvviso il
diligente poliziotto lo vede accostarsi ad un'edicola dove un uomo
alto, con un cappotto di cammello sta acquistando dei sigari cubani.
Il un lampo, Serrano estrae una lunga lama dalla manica della giacca
e la infila una, due, tre volte nel fianco dell'uomo che cade in
terra in un lago di sangue.
Nella
confusione che segue, l'accoltellatore si allontana, e il ferito
spirerà sorretto dal poliziotto, senza che questi abbia modo di
riconoscere in lui il suo diretto superiore. Ferreira muore dunque
per eccesso di prudenza, quella segretezza assoluta che gli
consentiva di andare a teatro senza scorta, non ha impedito bensì
favorito il proprio assassinio e quello dell'attentato che avverrà.
La
morale che sembrerebbe essere sottesa dall'autore è quella della
ineluttabilità del destino, che nessuna mossa e nessuna difesa può
sviare.
Il
romanzo fu pubblicato a spese dell'autore dalla casa editrice SUR a
Montevideo nel 1936, oserei dire improvvidamente, visto che si era
nel pieno della dittatura di Gabriel Terra. Un romanzo che parlava
dell' attentato ad un tiranno, in quei momenti non sembrò un
miracolo di tempismo. Dire che ebbe un'accoglienza “tiepida” è
solo un pietoso eufemismo per non dire che fu totalmente ignorato da
pubblico e critica.
Forse
anche sotto la pressione dei suoi preoccupati familiari, l'aspirante
scrittore Ernesto Guerreri decise di orientare più convenientemente
il suo futuro nel commercio del caffè.
Qui
finisce la prima parte della nostra storia.
Per
proseguire, dobbiamo fare un salto nel tempo di almeno settanta anni.
Infatti la seconda parte di questo racconto si svolge ai giorni
nostri, in località molto più vicine.
La
riporto così come venne raccontata sulle pagine del quotidiano
romano “Il Messaggero”, in quelle settimane.
Il
12 aprile del 2009, sulla spiaggia ancora deserta di Ostia, viene
ritrovato cadavere un certo Attilio Burri, ucciso con due colpi di
pistola al torace.
La
cosa non sorprende i carabinieri della stazione locale, in quanto
Burri è noto alle forze dell'ordine per essere un “cravattaro”
nome che viene dato a Roma agli strozzini. E' un uomo odioso e
volgare, capace di violenti scatti di rabbia. Nella casa dove viveva
vengono ritrovati, occultati in un tramezzo, più di due milioni di
euro in banconote, cambiali e assegni post-datati. Le indagini
naturalmente si indirizzano subito verso i debitori di Burri, che
avevano interesse ad eliminarlo e che sono i firmatari dei titoli di
pagamento. L'uomo ha una figlia di nome Assunta, che tre anni prima
ha sposato un giovane spiantato della zona, tale Giacomo Crozza. E'
il tipico bullo di periferia, forte con i deboli e debole con i
forti. Cresciuto senza padre, ha perso anche sua mamma da qualche
anno, e si arrangia rubacchiando in giro e forse spacciando un po' di
droga. La ragazza rimane incinta del giovane che non vuole saperne di
sposarla, ma che il Burri a suo modo mette inderogabilmente davanti
alle proprie responsabilità. Purtroppo, un mese dopo il matrimonio,
Assunta ha un aborto spontaneo e perde il bambino. I due vanno a
vivere in un appartamento non distante dalla villetta del suocero.
Crozza, che non trova o non cerca occupazione, non è in grado di
pagare la ristrutturazione della casa. Contrae quindi anch'egli un
debito col suocero, per ripagare il quale si lascia progressivamente
cooptare nell'attività di strozzinaggio. Il giovane ha il compito di
riscuotere il danaro dalle vittime dell'usura, ma anche in questo non
mostra grandi capacità. Da sua moglie e dalla sua famiglia
acquisita, viene ritenuto uno smidollato privo di qualunque dignità.
Sfoga le sue frustrazioni familiari sul “lavoro” e al bar, dove
al contrario, si vanta molto delle sue doti persuasive.
Agli
inizi del 2009, Burri lo incarica di perseguitare con particolare
insistenza Mario De Turris, un debitore di Ostia che deve molto
danaro. Questi è una persona anziana, che è dovuto ricorrere allo
strozzino per poter curare la moglie affetta da una grave patologia,
e che nonostante le cure è deceduta. L'uomo sostiene di non essere
in grado di pagare, dunque chiede a Crozza di organizzare un incontro
con il suocero nei pressi di un lido balneare, per rinegoziare un
accordo sugli interessi del suo debito.
Burri,
che è un sessantacinquenne conosciuto per la sua forza fisica e il
pessimo carattere, non teme minimamente che le cose possano mettersi
male con l'anziano pensionato. Ad ogni buon conto però, incarica il
genero di accompagnarlo. Ma Giacomo Crozza, che ha intuìto l'epilogo
dell'incontro (o forse si è accordato con l'omicida), trova
un'occasione per presentarsi in ritardo all'appuntamento. Osservatore
discreto e nascosto, scorge dal retro delle cabine, il De Turris, che
dopo un violento alterco, estrae una vecchia pistola a tamburo e
spara per due volte a Burri. In un solo momento quindi, Crozza si è
liberato del suocero a cui deve soldi, ed è anche in grado di
ricattare l'assassino con una possibile testimonianza. Le sue
aspettative però vengono rapidamente frustrate, in quanto dopo meno
di una settimana dal delitto, il De Turris si reca alla caserma dei
carabinieri per confessare l'omicidio e consegnare l'arma.
Fin
qui la cronaca dei fatti.
Per
completare il quadro di questi due avvenimenti apparentemente slegati
fra loro, devo precisare che il nonno materno di Giacomo Crozza molti
anni prima era emigrato in Uruguay e si era stabilito a Montevideo,
dove lavorava nell'azienda di famiglia, un import-export di caffè.
Si
chiamava Ernesto Guerreri, e fu autore di un romanzo misconosciuto
dal titolo “El Pirata”, esattamente come “Il Pirata” è il
nome dello stabilimento balneare dov'è avvenuto l'omicidio Burri.
Forse
Giacomo Crozza (che in dialetto significa croce) non ha lasciato
uccidere suo suocero per soldi come ha potuto credere, forse in
qualche modo che ci è sconosciuto, ha semplicemente interpretato il
ruolo del suo omonimo Santiago Cruz (Giacomo Croce), nel copione
scritto da suo nonno settanta anni prima.