Il mio nome é Anatoli, numero di
matricola 7436.
Sono piuttosto giovane, tra i
trentacinque e i quaranta direi, tutti passati qui dentro.
Per quello che mi é dato ricordare,
ho sempre vissuto al Ministero.
Non ho altra memoria che quella dei
suoi luoghi, vasti, silenziosi, inospitali. Ho percorso molti dei
suoi infiniti corridoi, misurato quotidianamente passo dopo passo il
grande cortile lastricato.
Alcune volte mi sono perduto.
Una mattina vagando tra le sale
deserte, sono arrivato per caso fin nell'altissimo atrio d’ingresso,
da dove fui prontamente ricondotto in camera.
In certi giorni ho sofferto di
solitudine nonostante il palazzo brulicasse di persone, in altri, la
sola coscienza di presenze altrui mi soffocava.
Siamo sempre stati in tanti in
questo enorme edificio, ma non ho mai saputo quanti. So soltanto che
nella enorme mensa dove mangiavamo, era impossibile contare i tavoli,
e che raramente ho riconosciuto i miei commensali.
A tavola non ci erano assegnati
posti fissi, e anche i turni dei pranzi cambiavano spesso. Oggi
comincio a credere che tutto questo fosse studiato per impedire che
sorgessero tra noi legami d’amicizia, o anche solo che ci
scambiassimo semplici opinioni, e in effetti, in tanti anni passati
qui dentro io non ricordo di aver mai conosciuto bene nessuno,
nemmeno i miei vicini di stanza.
Rammento vagamente un viso, che
probabilmente é la somma di tutti i visi che mi hanno attraversato
il cammino.
La camera in cui vivevo era
esattamente uguale a tutte le altre. Larga e spaziosa, aveva un
soffitto molto alto e come unica apertura verso l'esterno, un
finestrone fisso che correva lungo la parete ad un'altezza tale da
non essere raggiungibile neanche con la sedia, cosa che del resto non
ho mai tentato di fare. Ripensandoci, mi sembra strano che non abbia
mai avuto il desiderio di guardare fuori, ma sono sempre stato
soddisfatto solo di svolgere il mio lavoro e non ho mai chiesto
altro.
La luce che entra da questa finestra
ci consentiva di lavorare anche dopo il tramonto, senza dover mai
accendere le luci.
La metà di una delle pareti
laterali era occupata fino ad un’altezza di circa tre metri da un
unico grande specchio, che duplicando fedelmente le apparenze,
contribuiva a dare l'illusione di uno spazio inesistente.
Completavano il resto dell'arredamento il letto, un armadio dove
tenevo le mie tute azzurre, un tavolino di metallo fissato al
pavimento ed una sedia. In un angolo, accanto alla porta di legno
massiccio, vi era il lavandino con un'altro specchio cementato nel
muro.
I tramezzi di separazione tra le
varie camere hanno uno spessore notevole, che io ho sempre attribuito
alla volontà dei costruttori di isolare acusticamente le stanze, per
far sì che gli occupanti potessero svolgere in completo silenzio il
loro lavoro. Ora che da due giorni non prendo compresse, mi torna in
mente l'eresia che per un certo periodo fu mormorata a fior di labbra
tra gli ospiti del Ministero. Sussurravano i miscredenti che quei
muri così spessi nascondessero dei cavédi larghi abbastanza da
lasciar passare un uomo, e che i grandi specchi fossero trasparenti
da un lato, così che qualcuno, celato nelle intercapedini delle
pareti, potesse sorvegliare di nascosto gli occupanti delle camere,
di giorno o anche di notte, poiché in alto sulle porte delle stanze,
esistono delle fioche luci rosse, che non hanno interruttore
visibile.
Qualche volta, svegliandomi di notte
avevo visto quella lampadina illuminata, ma non mi ero mai chiesto
chi la accendesse e perché.
Tutte le mattine e le sere, al
nostro rientro in camera, trovavamo sul bordo del lavabo un piccolo
bicchiere di carta con dentro una compressa bianca, quella che ho
cercato disperatamente in questi due giorni, e che non ho trovato. Si
trattava, ci hanno sempre detto, di un blando stimolatore delle
facoltà cerebrali, che ci consentiva maggiore attenzione nel lavoro
alleviandoci allo stesso tempo la stanchezza.
Svolgevamo la nostra attività
soprattutto in camera, anche se avevamo spazi comuni molto grandi da
poter utilizzare: ampi saloni ben illuminati da grossi lucernari e
una biblioteca immensa, che non so perché, nessuno frequentava
volentieri. Diffidavamo degli ambienti troppo vasti, evitavamo
dimensioni che alludessero all'esterno. Persino la passeggiata
giornaliera nel grande cortile di pietra mi dava un senso di
smarrimento.
Io lavoravo al D.E.M., il
Dipartimento di Modifica degli Eventi ed il mio compito non era molto
difficile, ma come quello di tutti, piuttosto complesso.
Ogni mattina gli incaricati di
smistare il lavoro, conducevano per i corridoi grandi carrelli di
metallo con le pratiche da elaborare e con i principali testi di
consultazione, anche se chiunque desiderasse accedere alla biblioteca
per approfondire un argomento o rendere più precisa la Modifica era
libero di farlo.
Descriverò in cosa consistesse in
pratica il lavoro.
A ciascuno di noi era affidato il
controllo di libri, giornali, riviste, atlanti e quant'altro si
potesse stampare e pubblicare nell'Unione.
Dovevamo leggere attentamente ogni
pagina di questo materiale, rilevandone le incongruenze con le
Modifiche apportate precedentemente ad altri testi e suggerire i
cambiamenti da effettuare.
Ognuno sa quanto può essere
pericolosa la Verità per chi non é preparato ad ascoltarla.
Tutti conosciamo gli effetti nefasti
che essa ha avuto nel corso della Storia quando un popolo non ancora
maturo si è trovato davanti a realtà che non era pronto ad
affrontare serenamente: sommosse, devastazioni, rivoluzioni.
In una sola parola, ANARCHIA.
Al Ministero noi combattevamo contro
tutto questo. Abbiamo lavorato per affermare non la Verità assoluta,
che sappiamo inesistente o quanto meno inconoscibile, ma la migliore
Verità per la gente.
Stabilito il principio (peraltro
evidente) della relatività di ogni cosa, perché non utilizzare per
il bene del Popolo la verità più adatta ad esso? Perché rischiare
la stabilità sociale solo perché alcuni fatti che accadono,
raccontati in un certo modo, possono turbare le coscienze di pochi
uomini e spingerli a complottare contro lo Stato, quando con alcuni
piccoli cambiamenti é possibile ricondurre la realtà nei suoi
giusti confini, evitando che essa possa degenerare in chissà quali
fantasie?
A questa missione era preposto il
Ministero dell'Informazione, e a questo compito votati i suoi
occupanti.
Il Dipartimento di Modifica degli
Eventi, é soltanto una sezione del Ministero, perché in effetti
questo sovrintende non solo a tutto quello che avviene, ma anche a
ciò che é già avvenuto.
Esistono al suo interno diverse
altre divisioni. Quella di Storia é la più importante, incaricata
di cambiare sui libri e nei testi che vengono pubblicati quei fatti
che non corrispondono alle necessità
storiche.
Un'altra divisione molto attiva che
lavora in stretto contatto con questa, é quella di Geografia,
destinata a coordinare la realtà fisica dei luoghi ove si svolgono i
fatti stessi, con gli accadimenti che meglio si adattano alle
necessità. Ci sono ancora sezioni di Scienze, Politica, Economia e
certamente altre che ignoro.
Piccole modifiche alle carte
topografiche che da un anno all'altro nessuno nota, una data che
cambia, un nome che muta in un altro simile, sono minuscoli
interventi quasi invisibili che servono nel quadro di una
corrispondenza di informazioni che non può permettersi nessuna
discrepanza, pena la credibilità di tutto il nostro lavoro, anzi
meglio, pena la credibilità di tutta la realtà che così
faticosamente costruiamo.
E' fatale che tutto questo comporti
qualche piccolo sacrificio. Che i cittadini non possano muoversi
liberamente sul territorio dello Stato, ad esempio, é reso
necessario dal fatto che per il momento le Modifiche degli Eventi
vengono realizzate soltanto a livello di informazione e non ancora
nella realtà. Sarebbe allora facile per chiunque si rechi in un
posto, rendersi conto che tutto quello che ne conosceva per averne
letto, é profondamente o apparentemente diverso dal reale.
Penso che al Dipartimento
progettassero di intervenire, in futuro, direttamente sulla realtà
esterna, con squadre di personale appositamente incaricato di
trasformare l'aspetto dei luoghi, la segnaletica stradale, le
didascalie nelle sale dei musei e tutto quello che fosse necessario
alla congruenza storica.
Per il momento, ci limitavamo a
sfogliare centinaia e centinaia di libri, cercando di far quadrare un
rompicapo che si estende all'infinito nello spazio e nel tempo.
La difficoltà del nostro lavoro é
insita nella sua stessa natura.
Difatti se la Realtà è unica, le
Realtà Possibili al contrario sono infinite.
Scegliere tra queste le più utili,
o anche solo le più credibili, che però non ne contraddicessero
altre, immaginate precedentemente da operatori diversi, era il
compito titanico che silenziosamente svolgevamo a riparo delle sicure
mura del Ministero.
Solo oggi mi rendo conto di quanto
fossimo separati dal mondo esterno.
Perché tutto questo é finito ormai
per sempre.
E' successo due giorni fa.
All'imbrunire nessuno é passato a ritirare il lavoro svolto durante
la giornata e per la prima volta, al rientro dalla cena, non ho
trovato sul lavabo il bicchiere di carta con dentro la compressa
serale.
Con quali parole posso descrivere
l'angoscia che mi prese per queste brusche interruzioni della
normalità? Come posso spiegare il sentimento di paura lungo il quale
mi sono rotolato per tutta la notte, terrorizzato alla sola idea di
sporgere la testa nel corridoio per cercare aiuto?
Nell'oscurità tutto sembrava
tranquillo come sempre. Il silenzio era un pozzo profondo in cui
ascoltavo solo il mio respiro, ma io sapevo
che nel buio qualcosa era in agguato, sentivo salire dalle camere
accanto la stessa marea di muta paura sulla quale galleggiavo
anch'io, e che si ritrasse solo alle prime luci liberatorie
dell'alba, quando mi accorsi che il terrore indefinito della notte,
lasciava spazio ad una paura più lucida, ad una preoccupazione più
reale.
Capii improvvisamente che nessuno
sarebbe venuto con la pillola del mattino, e non solo quel giorno.
Uscito nel corridoio mi diressi
verso la sala mensa, dove avrei dovuto fare colazione. Il refettorio
era gremito di persone, ma i tavoli erano desolatamente vuoti. Nessun
suono dalle rumorose cucine, nessuno del personale addetto alla
distribuzione dei pasti, eppure tutti i miei colleghi erano lì,
seduti senza parlare, in attesa di mangiare, incapaci di comprendere
che in poche ore tutto quello che erano, tutto quello che conoscevano
non esisteva più e che mai più nessuno si sarebbe occupato di loro.
Uscii in fretta e ritornai nella mia
stanza. Ora le pillole mi mancavano veramente molto. Andai a cercarle
nella guardiola in fondo al corridoio, ma era vuota. La porta degli
alloggi del personale era spalancata. Dentro non c'era più nessuno,
tutto era in disordine, come se fossero andati via di corsa,
inseguiti da qualcosa.
Rientrai nella mia camera.
Per tutto il giorno cercai di
lavorare, ma le righe delle pagine mi si confondevano sotto gli
occhi, e non riuscii a combinare niente. La paura mi divorava l'anima
e la notte é stata anche peggiore. Per la prima volta nella mia
vita, questa stanza mi é sembrata angusta, soffocante, e un pensiero
nuovo mi ha attraversato all'improvviso la mente: il desiderio di
sapere cosa ci fosse fuori di qui.
Durante la notte quest'idea é
diventata un'ossessione, ma la paura di uscire nel buio era ancora
troppo forte. Alla fine, questa mattina, sono riuscito a vincere
l'angoscia e mi sono messo in cerca dell'uscita di questo labirinto.
Ho attraversato molti cortili
uguali, o forse più volte lo stesso cortile. Ho percorso
innumerevoli corridoi tutti simili dove una moltitudine di persone
vagava come ipnotizzata. Nessuno di loro mi ha chiamato, nessuno mi
ha rivolto uno sguardo. Li ho lasciati al loro lento risveglio e alla
sorte che li attende.
Finalmente sono arrivato nell'atrio
che ricordavo altissimo, e che invece non lo é, e mi sono avvicinato
alla grande porta dai vetri opachi. Qui ho sostato, esitante,
intimorito dai rumori che provenivano dall'altro lato.
Credevo di aver intuito che cosa
fosse successo.
L'Immaginazione doveva aver preso il
sopravvento sulla Realtà, e adesso che sapevo che cosa mi sarei
trovato davanti, cercavo di prepararmi ad affrontarlo, ma come ci si
prepara ad affrontare il caos, il nulla?
Ho esitato a lungo prima di
azzardarmi a spingere l'anta della porta, ma alla fine mi sono deciso
perché ho capito di non avere altra scelta.
La luce del sole mi ha colpito come
uno schiaffo e per qualche secondo ho dovuto chiudere gli occhi, poi
ho guardato la strada e ho visto. Ho visto gente, bambini, macchine,
negozi, ho visto una moltitudine di colori che nemmeno immaginavo, ho
sentito rumori spaventosi che però non provenivano da una sommossa,
ma dalla vita di tutti i giorni, la vita che si svolge fuori delle
mura di un edificio, e che da sempre mi é stata negata.
E finalmente ho capito.
Da quanto tempo le cose sono
cambiate? Da quanto tempo siamo chiusi in questo museo a scrivere
parole di cui nessuno si accorge? A proporre variazioni che non
saranno mai prese in considerazione, ultimi schiavi di un regime che
non esiste più forse da anni e che noi inconsapevolmente abbiamo
continuato a servire con una perseveranza che é follia?
Abbiamo perpetuato per anni riti e
consuetudini di una comunità che serviva solo a se stessa e che
nessuno aveva mai pensato a smantellare.
Forse tutto é finito perché
qualcuno spulciando tra i grovigli della burocrazia si é accorto
dell'esistenza di questo posto assurdo, forse una mera ragione di
bilancio ha soppresso una fonte di spesa così inutile o ancora più
semplicemente, qualcuno che dirigeva questo deserto della memoria si
é stancato della propria inutilità e banalmente ha riempito una
valigia ed é andato via.
Non lo saprò mai.
Quello che so é che la gente si é
scelta da tempo la verità nella quale gli piace vivere, ma che
questa scelta io non l'ho mai fatta, e che quella realtà non é la
mia.
Sono rientrato al Ministero e sono
tornato nella mia stanza.
Non so se resterò in quest'utero di
pietra dove ho già trascorso gran parte della mia esistenza e dove
mi sento ancora protetto, o se troverò il coraggio di uscire a
capire il mondo.
Intravedo una rivincita che la
Verità si é presa nei miei confronti, interpolando nella mia vita
un unico dato che l'ha sconvolta completamente: la Realtà.
In questo affollato deserto,
condivido con i miei compagni un destino che accomuna molti uomini,
quello di aver vissuto inconsapevolmente per le idee di qualcun
altro, rinunciando alle proprie.