venerdì 23 agosto 2013

Occhiali da sole


L'episodio che vorrei narrare, accadde alcuni anni fa (potrei dire troppi) nell'afosa mattina di un'estate implacabile, ma l'impressione che mi suscitò perdura intatta nonostante il passare del tempo.
Nel mese di Luglio di quell'anno, avevo raggiunto non senza difficoltà, moglie e figlio in vacanza nell'isola d'Ischia per un fine settimana familiare, che nascondeva la segreta ambizione di riuscire a dormire per due giorni interi. Speranza che svanì regolarmente alle otto del mattino successivo, orario in cui la mia esigua famiglia è già tutta in piedi, indifferente al mutare delle stagioni.
La giornata si annunciava molto calda già dalle prime ore del mattino.
Il cielo terso era di una limpidezza abbacinante, ma al livello del mare una coltre di umidità avvolgeva cose e persone in una foschia densa, collosa.
Tentai inutilmente di trattenermi nella frescura mattutina della nostra camera, ma fui costretto invece a seguire le mute indicazioni impartite dagli occhi inflessibili della mia consorte, che sollecitavano maggiori attenzioni nei riguardi del pargolo, orbo del padre da ben due settimane.
Mi fu imposto dunque l'inutile sacrificio di accompagnarlo in spiaggia per tenergli compagnia. Naturalmente, appena messo piede sulla sabbia, Massimo schizzò via fra le gambe dei bagnanti per raggiungere chissà dove quali altri ragazzi, visto che nei giorni della mia assenza, si era certamente procurato amici della sua età di gran lunga più interessanti di suo padre.
L'aria vibrava per il calore, aveva una pesantezza, uno spessore quasi palpabili, opprimenti, la inalavo a fatica.
Con gli occhi ridotti a fessure cercai il mare, la cui presenza poteva soltanto essere postulata, dato che era assolutamente impossibile scorgere l'acqua attraverso la sterminata foresta di ombrelloni.
Il sole di luglio aveva trasformato la spiaggia in una fornace ardente dove centinaia di persone si rosolavano unte come würstel, badando bene a rigirarsi di tanto in tanto per cuocersi omogeneamente in ogni punto del corpo. Su tutto aleggiava un penetrante odore d’olio solare che sapeva di cocco, bergamotto, mandorle e mallo di noce.
Sospirai, giacché sapevo che il fastidio causatomi dal caldo, dalla sabbia bollente e dal lucore diffuso dai corpi lucidi si sarebbe in breve trasformato in un sottile supplizio, e ciabattai verso il lato della spiaggia dove presumevo si trovasse l'atollo di frescura del nostro ombrellone.
La luce mi trafiggeva gli occhi dolorosamente. In effetti, sono notoriamente fotofobico e quella mattina, nel prendere dal comodino gli occhiali da sole, me li ero lasciati sfuggire di mano fracassando una delle lenti; economia di poca consolazione, giacché ai fini dell'utilizzo equivaleva ad averle rotte entrambe.
Per questo motivo, dopo aver lasciato la passerella di cemento, adesso procedevo quasi a tentoni, cercando di poggiare i piedi nelle pozze d'ombra altrui, ostacolato da una miriade di arti distesi e dal riverbero della sabbia bollente.
Il telo della sdraio era già fastidiosamente caldo dal momento che un solerte bagnino, disponendo con pazienza certosina e sicuramente in ore più fresche un'accurata geometria di sedie, lettini prendisole e quant'altro gli consentisse lo sfruttamento intensivo di ogni centimetro quadro di arenile, aveva giudicato opportuno collocare le nostre uniche comodità in pieno sole. Trascinai una sedia all'ombra sotto gli occhi sprezzanti dei vicini, che avevano indovinato in me il classico marito da week-end, una sorta di stralunato fantasma che appare il venerdì sera e sparisce alle prime luci del lunedì mattina, perennemente semiaddormentato e, come si addice ad uno spettro, bianco come un lenzuolo.
Incurante degli sguardi, sedetti e tirai fuori della borsa un libro che mi ero portato perché leggendolo mi accompagnasse ai margini del sonno, ma capii subito che non mi sarebbe riuscita né una cosa, né l'altra. Le parole mi ballavano davanti agli occhi. Il fracasso continuo prodotto dalle centinaia di bagnanti che affollavano la spiaggia, copriva persino il rumore del mare.
Ciò nonostante provai ad immergermi nella lettura cercando di ignorare la bolgia infernale di bambini, palloni, radioline, racchettoni e venditori ambulanti che mi si accalcava intorno.
Il libro raccontava di un montanaro che per tutta la vita sognò vanamente di vedere il mare.
Mi guardai attorno e convenni che in effetti, non si è mai dove si vorrebbe essere.
Un venditore ambulante si fermò proprio davanti all'ombrellone.
Come un muezzìn lontano da casa, intonò una litania che avrebbe dovuto convincermi a comprare qualcosa di cui non avevo alcun bisogno. Alzai il libro davanti alla faccia con un gesto antipatico quanto esplicito, ma insufficiente a scoraggiarlo. Sotto il margine inferiore del volume potevo scorgere i suoi piedi infilati nei sandali e le gambe magre e scure. Si accorse di quella feritoia e si accovacciò, guardandomi di sotto in su con la testa inclinata, come a volte fanno i bambini.
- Amico, non può essere che Hamed non ha qualcosa che ti serve!
Abbassai il libro rassegnato al contraddittorio, ma fermamente intenzionato a smentire l'asserzione.
La cosa però non si rivelava semplice visto che l'uomo esibiva un campionario di chincaglieria da far concorrenza ad un supermercato di provincia. Aveva poggiato per terra un gran cesto ricolmo di affarini coloratissimi: pettini, fermacapelli, specchi, foulard, ed altri articoli "da spiaggia", inoltre teneva in mano una sorta di panoplia dove erano esposti orologini di plastica ed occhiali da sole di tutte le fogge.
- Mi dispiace - spiegai - ma non mi occorre niente.
Nel sorriso d'avorio che mi regalò avrei potuto contare cento denti.
- Questo è possibile, ma Hamed ha tutto! - ribatté lui con logica stringente.
Non so perché ma in quel momento pensai che mentre io ero in vacanza, quell'uomo davanti a me stava lavorando, e che se a lui era costato molto lasciare il Marocco o la Tunisia per venire a esercitare un mestiere che nessun italiano avrebbe fatto, a me sarebbe costato molto poco comprargli qualcosa per aiutarlo ad andare avanti.
Sembrava quasi che mi avesse letto nel pensiero, perché i suoi occhi acquosi guardarono l' "espositore" degli occhiali da sole, e dopo una rapida scelta, mi consegnò quelli che a suo giudizio erano giusti per me.
Non trattai il costo né il modello, mi bastava che proteggessero a sufficienza dalla luce da evitarmi di lacrimare e che costassero tanto poco da non farmi riflettere se valessero il prezzo richiesto.
Hamed se ne andò soddisfatto sul suo passo dondolante e in un istante sparì, assorbito dalla folla, solo rimaneva nell'aria il suono della sua voce cantilenante, ma anche quello si sfilacciò tra gli odori e i rumori della spiaggia. Mi venne da pensare al gatto del Cheshire di Alice, del quale restava il sorriso anche dopo che era scomparso.
Considerai senza troppa attenzione il mio forzato acquisto.
Gli occhiali erano molto leggeri, con lenti e montatura di plastica nera, sembravano uno di quegli oggettini omaggio che vengono incellofanati insieme alle riviste femminili.
Assolvevano in ogni caso al loro modesto compito di moderare la violenza della luce, e tanto mi bastava. Li inforcai e ricominciai la mia lettura. Non avevo terminato la prima pagina che udii accanto a me la voce di Giovanna.
- Dov’è Massimo?
- E' andato con i suoi amici. Credo alla cabina dei De Simone.
Si sfilò un leggero prendisole e lo appese alle stecche dell'ombrellone, poi si sdraiò sul lettino che era rimasto al sole e cominciò ad ungersi meticolosamente.
Giovanna è fatta così, per lei l'abbronzaggio è un lavoro.
Pur essendo già di un bel colore ambrato, quotidianamente la sua attività in spiaggia è limitata al fatto puro e semplice di stare immobile al sole come una lucertola. Gli unici movimenti che compie sono quelli indispensabili per sostituire la sigaretta che le pende perennemente accesa tra le labbra, o per cambiare la cassetta nel walkman. Per il resto, passano ore senza che dica una parola. Un tipo di gran compagnia, insomma.
Quel giorno, prima di interrompere i suoi contatti con il mondo esterno infilandosi la cuffia nelle orecchie mi gratificò di qualche banalità, aggiornanadomi sulle ultime notizie di cronaca rosa e sui pettegolezzi che circolavano in spiaggia, confermando la mia convinzione che l'argomento principale dell'estate saranno sempre e unicamente le corna. L'ascoltavo distrattamente, interessato più che a quelle storie, ad una bambina bionda che, pochi metri più in là, si dava un gran daffare a riempire d'acqua una buca. Avrà avuto al massimo due anni, e indossava un minuscolo costumino giallo che a stento le copriva il culetto. Con un secchiello in mano, correva infaticabilmente tra la riva del mare e il punto in cui aveva scavato, affannandosi a versarci l'acqua che in qualche secondo spariva, assorbita dalla sabbia.
Dopo Massimo avrei voluto un altro figlio, e non so perché l'avevo sempre immaginata femmina. L'avremmo chiamata Chiara e sarebbe stata una palletta morbida con i codini, proprio come quella, ma Giovanna su questo punto si era dimostrata sempre irremovibile e così mi accontentavo di fantasticare sulla prole altrui.
- Ma mi stai ascoltando? - chiese.
- Si, ma... scusami, mi ero distratto un attimo.... stavi dicendo?
- Ho chiesto dove hai preso quegli occhiali da sole.
- Ah, così…. li ho comprati da un'ambulante.
In quel momento la bambina cadde rovesciando tutta l'acqua del suo secchiello. Rimase seduta sulla sabbia.
- Saranno una schifezza, non sai che ti possono rovinare la vista? Fa’ un po' vedere….
Mi sfilai le lenti e gliele porsi. Davanti a me la bambina con i codini cadde spargendo l'acqua che trasportava nel secchiello, e rimase seduta a ficcare le dita grassocce nella crosticina di sabbia bagnata che si andava formando.
Qualcosa non funzionava.
Intendo dire che la piccolina non era caduta di nuovo, ma aveva fatto la stessa caduta di poco prima, o per meglio dire, da come mi stavo rendendo conto, ero io che avevo osservato due volte il medesimo capitombolo.
- E quanto li hai pagati? - domandò Giovanna, provandosi gli occhiali.
- Uhm...non mi ricordo di preciso.
- Come fai a non ricordartelo se ce li hai da pochi minuti? E come mi stanno?
Quella conversazione inutile aveva il solo risultato di impedirmi di pensare a quello che avevo visto. Infastidito risposi:
- Sembri uno dei Blues Brothers, ridammeli!
In effetti, il contrasto tra l'ombra e la luce troppo violenta cominciava a farmi lacrimare nuovamente, e poi non riuscivo a vedere che cosa stesse facendo la bambina.
Con gesto sgarbato Giovanna mi lanciò gli occhiali. Li presi al volo e li osservai con maggiore attenzione. Non avevano nessuna scritta, né marca o luogo di fabbricazione. Parevano del tutto simili a qualunque paio di polaroid si possano trovare in qualsiasi tabaccheria di Ischia. Me li rimisi sul naso e provai a leggere.
Tutto normale. Guardai verso l'ombrellone di Chiara, ma doveva essere tornata sulla battigia a riempire il secchiello. Allora tentai con un soggetto più lontano, un surfista che scorgevo nell'unico spicchio di orizzonte libero allo sguardo.
L'uomo filava attaccato alla vela sospinta da un esile filo di brezza, ma bastava che alzassi gli occhiali dal naso perché mi apparisse diversi metri più indietro.
Ricordo distintamente che la prima impressione che ebbi fu che si trattasse di uno sfasamento spaziale e non temporale, ma mi bastò poco per capire che le lenti non comportavano uno scartamento sulle distanze tra gli oggetti o sulla loro prospettiva, semplicemente mi mostravano le cose non dove esse si trovavano, ma nel punto dove sarebbero state di lì a poco!
Tutto questo era assolutamente impossibile e io lo sapevo perfettamente. Ciò non di meno accadeva, e per la verità mi preoccupava anche un tantino: é difficile stabilire se preferisci che ti funzionino male gli occhi o il cervello.
La verità è che faceva troppo caldo, mi sembrava che i miei stessi pensieri rallentassero, invischiati nell'aria salsa e appiccicosa. Non riuscivo a pensare con lucidità e facevo fatica a ragionare, tuttavia quello che succedeva era troppo strano perché rinunciassi a tentare di capirlo.
Eseguii discretamente qualche esperimento. Sono certo che se qualcuno avesse notato con che continuità mettevo e toglievo gli occhiali da sole, avrebbe sospettato qualche problema psichico più che ottico, ma nella confusione della spiaggia nessuno faceva caso a quello che combinavo. Giovanna poi, era completamente assorta nella sua attività di abbronzista a cottimo e l'unico suo segno di vita palese era il filo di fumo che le usciva dalle narici, mentre la sigaretta si trasformava in un tubetto di cenere.
Naturalmente mi era impossibile persino concepire il funzionamento di quelle lenti, nondimeno nell'assurdità della situazione esse sembravano obbedire ad una qualche legge fisica. Tanto per cominciare lo sfasamento temporale dipendeva direttamente dalla distanza tra l'osservatore e l'oggetto. Girando le pagine del libro che avevo in mano, avrei dovuto vedere le mie mani compiere l'azione alcuni istanti prima che questa avvenisse, ma non succedeva niente. A distanza di qualche metro, il tempo di precognizione era di qualche frazione di secondo, ma si allungava se inquadravo oggetti più lontani. Stando così le cose immaginai che avvicinandomi al soggetto, avrei dovuto vedere una specie di film all'incontrario, con le persone che ritornavano al loro posto, dove le avrei trovate sfilandomi gli occhiali una volta raggiunte.
Ma quando a fatica mi alzai per avvicinarmi a qualche ignaro bagnante, mi accorsi che mano a mano che avanzavo le immagini coincidevano con la realtà, quasi che la mia velocità rallentasse i movimenti altrui.
L'aria irrespirabile e la sabbia bollente mi respinsero nel cerchio d'ombra, convincendomi a desistere da ulteriori esperimenti.
Mi ricordai dei vari paradossi temporali, degli innumerevoli romanzi di fantascienza impostati sulle macchine per viaggiare nel tempo, e rammentai il disappunto di Borges, che in un'intervista si rammaricava di essere impotente a dimenticare gli episodi più insignificanti e lontani della sua infanzia, ma incapace di guardare in avanti di un solo minuto.
Tra il fiume temporale dei filosofi greci studiato al liceo e gli esercizi di fantasia degli autori contemporanei, un racconto mi era rimasto impigliato nella memoria: dove si immaginava la realizzazione di una qualità di vetro così denso che un raggio di luce che ne avesse colpito una lastra avrebbe rallentato al punto di riemergere dall'altro lato solo dopo molto tempo. Esponendo questi vetri a paesaggi spettacolari per qualche anno, si sarebbe potuto avere in casa un quadro mutevole, nel quale il sole sorgesse e tramontasse tutti i giorni, gli uccelli migrassero verso sud e dal quale filtrasse la luce di giorni lontani.
Ai miei occhiali capitava il contrario, come se fossero stati capaci di accelerare la luce al punto di farla arrivare prima di essere partita.
Mi sentivo la testa scoppiare, ma mi guardai bene dall'attirare l'attenzione di Giovanna e decisi di tornarmene in camera, dove l'aria meno rovente mi avrebbe rinfrescato il cervello. Purtroppo in quell'istante ritornò Massimo con tutta la ciurma dei suoi amici. Insieme agli sciagurati genitori di questi ultimi, avevano deciso di affittare dei pattìni per andare a fare il bagno al largo.
Tralascio di raccontare come fui costretto a partecipare a quella disgraziata iniziativa, basti solo dire che in nel momento della massima confusione d’urla e spruzzi, mentre eravamo davanti Punta S. Francesco, gli allegri coniugi De Simone mi spinsero in acqua e lì persi gli occhiali. M’immersi più volte nella speranza di riuscire a ripescarli, ma non ci fu niente da fare. Non ebbi neppure la possibilità di incazzarmi più di tanto, visto che tutti si erano accorti che si trattava di un oggettino da due lire.
Così finì banalmente il mio sogno di prevedere il futuro.
Da quel giorno ho pensato spesso all'ambulante che mi vendette quelle lenti, ma benché mi sforzi, non riesco a ricordare niente di magico nel suo aspetto né in quello degli occhiali. Mi consolo pensando che non avrebbero avuto nessun’utilità pratica, ma sarebbero stati soltanto un’inquietante corruzione all'ordine naturale delle cose.
Forse tutto sommato la custodia più adatta ad un oggetto simile sono proprio i fondali di Punta S. Francesco.