"L'immaginazione
dell'uomo in materia
di
mostri é limitata."
J.L.Borges
Enrico non riusciva a
credere ai propri occhi.
Lì, proprio davanti a
lui, sfilava un corteo di femministe.
Stava addentando un
cornetto, quando tra il brusìo del bar, aveva distinto il tipico
ritmo cadenzato degli slogan urlati alle manifestazioni, ed era
uscito in strada per guardare cosa stesse accadendo.
Il gruppo delle
dimostranti si era sforzato di interpretare alla lettera la più
vieta iconografia della femminista anni '70: lunga gonna zingaresca e
scialle sulle spalle, zoccoli ai piedi e fiori nei capelli. Persino
le mani alzate in alto sulla testa con gli indici e i pollici uniti,
contribuivano a dare al piccolo corteo un aspetto assolutamente
anacronistico.
Per completare il quadro
urlavano a gran voce, e le frasi gridate erano della serie "il
corpo è mio......eccetera...eccetera".
Enrico, come molti altri
passanti, era rimasto a bocca aperta a guardare le facce arrabbiate
delle ragazze, cercando di ricordare quale potesse essere per loro la
ricorrenza da festeggiare, ma non gliene venne in mente nessuna.
Probabilmente la cosa era stata organizzata da qualche "Collettivo
Donne" sopravvissuto negli anni, e in effetti le stesse
partecipanti non sembravano molto convinte di quello che andavano
urlando in coro. L'impressione complessiva era più di trovarsi ad
assistere ad una sfilata in costume d'epoca, una cosa di cattivo
gusto tipo Disneyland, per intenderci.
Enrico scosse la testa e
si mosse per andar via, quando la sua attenzione fu attirata da una
delle ragazze del corteo. Teneva tra le mani un cartello con
l'abusata scritta "TREMATE, TREMATE, LE STREGHE SON TORNATE",
ma a differenza delle altre aveva scelto per l'occasione un
abbigliamento un po' meno scontato, si era vestita cioè come faceva
probabilmente tutti i giorni: jeans, scarpe da ginnastica e un
maglione di lana bianco a collo alto. Pur non essendo truccata, come
d'obbligo per le militanti, le folte ciglia nere sembravano
tracciarle una riga di matita sul bordo della palpebra inferiore,
dando agli splendidi occhi verdi un accento orientaleggiante.
La
bocca aveva labbra sottili, denti bianchissimi, e sembrava atteggiata
in un broncio perenne.
Enrico, ligio alla
mentalità corrente, aveva sempre pensato che le femministe dovessero
necessariamente essere delle bruttone inacidite che avevano eletto
l'uomo ad eterno nemico per irrisolvibili questioni di
insoddisfazione sessuale. Ma naturalmente, come ogni maschio che si
rispetti, si sentiva pronto ad abiurare le proprie idee se ci fosse
stata l'opportunità di ridiscuterne con una bella donna, meglio se
bruna e con gli occhi verdi come quella.
Gli piaceva al punto che
si sentiva pronto alla conversione a qualsiasi fede politica o
religiosa.
D'un tratto, quasi si
fosse accorta di essere osservata, la ragazza si voltò ricambiando
lo sguardo con intensità. Fece addirittura qualche passo nella sua
direzione ma poi, come se si sentisse chiamare, si voltò di nuovo e
riprese a seguire il corteo.
Enrico era rimasto
immobile, imbarazzatissimo, in quanto non aveva dubbi che lei si
fosse resa conto di aver suscitato la sua attenzione, e per un attimo
aveva temuto che gli rivolgesse qualche parolaccia.
Gettò via quanto restava
del cornetto e si diresse verso il palazzone della società dove
lavorava. Per tutta la mattina non fece altro che pensare a
quell'episodio, domandandosi come avrebbe potuto fare per incontrare
nuovamente la donna, poi mano a mano che il lavoro lo assorbì, il
ricordo di quegli occhi si confuse tra tutti gli occhi della sua
giornata.
La mattina successiva
sembrò che il destino provvedesse a risolvere il suo problema,
infatti entrando nel solito bar si accorse che la bruna del giorno
precedente era seduta in un angolo a fare colazione. Enrico sfoggiò
uno dei suoi più smaglianti sorrisi e con il cappuccino in mano,
andò a sedersi allo stesso tavolino.
La ragazza alzò gli occhi
dalla pagina degli oroscopi e senza mostrare nessuna meraviglia per
quella piccola invasione del suo spazio, chiese:
- Di che segno sei?
- Ariete, - rispose lui -
ascendente Leone.
La ragazza strinse le
labbra, arricciando il naso - Brutta congiunzione -
- Veramente io mi ci trovo
benissimo - commentò Enrico, che ostentava la sicurezza del
latin-lover, ma si rese conto che la conversazione appena iniziata
prendeva già una piega idiota. Tentò di raddrizzare le cose
buttandola sul banale, tipo cometichiami, dovelavori,
comemainoncisiamoincontratiprima eccetera, ma intuì che se la
ragazza era lì apposta per lui come sospettava, forse avrebbe potuto
saltare i preliminari e chiederle un appuntamento.
Ancora una volta fu
preceduto e Martina, così disse di chiamarsi, gli chiese
direttamente:
- Usciamo insieme stasera
o vuoi perderti l'occasione della tua vita?
Enrico non se la perse.
§
§ § § § § § § § §
Dopo quella volta, si
videro quasi tutti i giorni. Al mattino Enrico la incontrava al bar
sotto l'ufficio, e la sera lei passava a prenderlo dal lavoro.
Martina viveva in una
minuscola mansarda piena di luce, dal cui terrazzino si vedeva una
distesa di tetti, e uno spicchio della piazza con il duomo.
In quelle due stanze,
Enrico imparò a conoscere il carattere irrequieto della sua nuova
ragazza.
Martina era una donna di
mutevolissimo umore, e per lo più con indosso una strana malinconia,
come se avesse dentro di sé un infinito rimpianto per il tempo
passato. Le piaceva fantasticare ad occhi aperti, ma la sua
immaginazione aveva sempre un che di triste, di malsano, e spesso i
suoi racconti avevano il colore dell'autunno, la sua voce il suono
delle stagioni morte, mentre narrava di luoghi nascosti tra il verde
cupo dei boschi, dove la luce del sole non penetra mai.
Enrico l'ascoltava per
ore, incantato da quella capacità di inventare sempre nuove storie,
di immedesimarsi in personaggi e situazioni descritte con tale
minuzia di particolari, da sembrare vissute in prima persona. Pensò
che Martina dovesse aver letto una smisurata quantità di libri, ma
qualsiasi tentativo di conoscere qualcosa della sua vita privata,
veniva da lei regolarmente sviato; sembrava che volesse essere
accettata per quella che era in quel momento, senza concedere niente
di sé che fosse legato al suo passato. Lui aveva subìto questa
tacita condizione perché il fascino che emanava dalla sua persona lo
aveva letteralmente soggiogato.
Martina possedeva una
carica di sensualità che Enrico non aveva mai conosciuto in nessuna
donna. Il sesso tra loro era una specie di lotta accanita e sempre,
quando facevano all'amore, era travolto da un'onda di sensazioni così
forti che lo lasciavano poi spossato sulla spiaggia del sonno. Allora
lei cominciava a fantasticare, a raccontare, e la sua voce si
insinuava tra la veglia e l'incoscienza, lo distraeva dal torpore
trascinandolo in territori della mente misteriosi e sorprendenti.
Anche quel giorno
accoccolata al suo fianco Martina parlava, parlava, ed Enrico, con
gli occhi socchiusi, ascoltava in silenzio il suono musicale della
sua voce che narrava di un'epoca lontana, a lui sconosciuta, ma che
lei invece sembrava aver vissuto fino al giorno prima.
- Pensa che una volta, per
scherzo, feci impazzire l'asino del sagrestano. Se lo avessi visto,
corrergli dietro lungo tutto il sentiero! - raccontava ridendo - Da
piccola mi divertiva tanto fare cose incomprensibili agli altri
bambini. Era eccitante sapere di avere una qualità straordinaria,
solo esclusivamente mia. Solo più tardi, crescendo, mi resi
conto che quel segreto non avrei mai potuto condividerlo con nessuno
neppure volendo.
Non puoi capire cosa
significhi rendersi conto di essere completamente sola, di non avere
alcuna possibilità di comunicare agli altri un tuo desiderio, o
anche solo i tuoi pensieri perché questo gli fa perdere la ragione
per lo spavento. Quello che fino ad allora mi era sembrato normale,
quella che era stata la mia infanzia felice, i miei giochi innocenti,
si scontravano con l'incomprensione dei miei coetanei. Incomprensione
che ben presto si trasformò in diffidenza, e poi sempre più
velocemente in aperto ostracismo, se non in odio bestiale……-
Si alzò dal letto e
cominciò a rivestirsi.
Enrico si stropicciò gli
occhi e si tirò su a sedere. La voce di lei aveva cambiato
repentinamente tono.
Non era la prima volta che
Martina si immedesimava a tal punto in una fantasia da arrabbiarsi
terribilmente, e di norma chi ci andava di mezzo era lui.
- A chi avrei potuto
rivelare che mentre i miei compagni giocavano tra di loro per strada
- continuò lei quasi gridando - io dietro la siepe in fondo all'orto
conversavo con quegli esseri schifosi che uscivano dal buco tra le
radici della vecchia quercia?
A chi avrei potuto
insegnare le Parole che mi venivano in sogno di notte? Parole che
possono legare la lingua o spezzare le mandibole, parole che possono
far appassire i fiori, marcire le mele, inacidire l'olio, gesti che
servono a far rallentare i battiti del cuore di un uomo, o a farti
danzare a un ritmo forsennato una musica che nessuno può sentire,
fino a sfiancarti come un cavallo impazzito!
Io non so il perché di
quest'odio che mi consuma dall'interno e che non mi dà pace.....non
so perché devo distruggere anche le cose che amo....... so soltanto
che é così.
So che ogni volta mi é
concesso troppo poco tempo per poter provare un'emozione, un
sentimento. Sempre, nel momento peggiore, quello della passione più
intensa, qualcosa o qualcuno mi tira un lembo dell'anima e mi
risveglia dall'incanto, ricordandomi qual' é il mio compito. E
allora tutto l'amore che provo si tramuta in furia, nel desiderio di
vendicare qualcosa che ormai é troppo lontano nel tempo perché io
lo possa ricordare, ma che dal passato urla e chiede vendetta.
Quante volte é già
successo non te lo immagini………quale ragazzina non si é
innamorata perdutamente di un compagno di giochi? Dell'amica del
cuore con la quale si divide un sogno innocente o un dolce dolore?
La mia condizione mi ha
negato qualsiasi sentimento puro, ho avuto in sorte unicamente la
solitudine, e più i miei compagni diurni si allontanavano da me, più
i miei incubi peggiori prendevano corpo, forma e i volti degli uomini
e delle donne che incontravo il sabato notte in quella radura del
bosco alla quale nessun essere ragionevole si sarebbe accostato
neppure durante il giorno. Quello che so purtroppo l'ho imparato
quasi tutto lì……
Io ho visto cose che
nessun uomo potrebbe mai nemmeno immaginare. Esseri davanti ai quali
la ragione umana vacillerebbe, riti e atrocità alle quali si può
soltanto alludere e che talvolta vengono solo accennate nei racconti
che i vecchi fanno davanti al fuoco la sera, ben sprangati in casa.
Cose che per tua fortuna non sognerai mai, nemmeno nei tuoi incubi
peggiori!-
Enrico era stupito. Seduto
nel mezzo del letto la guardava a bocca aperta.
La fantasia della ragazza
sembrava non avere limiti ed il racconto era interpretato così bene
che gli aveva messo addosso una strana inquietudine. Considerò la
possibilità che Martina soffrisse di qualche fenomeno di
sdoppiamento della personalità, e si ripromise di parlarne con un
medico.
- Va bene - le disse - ma
adesso basta con queste fantasie, cerca di calmarti, sei sconvolta!
Vuoi farti venire un accidente?-
Martina abbassò le spalle
e lo guardò con aria rassegnata.
- Nemmeno tu. Mi ero
illusa che potessi capire, speravo di potermi risparmiare questo
dolore, almeno per una volta! Ma avrei dovuto sapere che naturalmente
é tutto inutile.-
Scoppiò a piangere, di un
pianto disperato, irrefrenabile, ed Enrico intenerito si alzò e le
andò incontro per placare quella valanga di singhiozzi che la
scuotevano tutta.
Non era preparato al
colpo, così che quando aprì le braccia per stringerla a sé,
ricevette la prima coltellata in pieno petto.
Il respiro gli uscì tutto
d'un fiato e per un istante rimase immobile a guardare la lama
infissa nella carne, ma lei non gli lasciò il tempo di comprendere.
Gemendo, sfilò il pugnale e lo colpì di nuovo, trafiggendogli il
collo di lato con una tale violenza che la lama spuntò dall'altra
parte.
Enrico cadde all'indietro,
riverso sul letto.
Dalla bocca gli uscì solo
un gorgoglio strozzato, poi più nulla.
Martina, piangendo
disperatamente, gli si inginocchiò accanto sulle lenzuola inzuppate
di sangue e cominciò a recitare tra i singhiozzi la cantilena
rituale. Le sue mani accarezzavano il viso con dolcezza, seguendone i
lineamenti, poi infilò le unghie dei pollici negli incavi delle
orbite, con un rapido movimento ne estrasse gli occhi e se li ficcò,
attaccaticci e sanguinolenti, nel corsetto.
Adesso non piangeva più.
Sfilò lo stiletto
sacrificale dal collo del suo amore, lo pulì sulle lenzuola e lo
ripose nella sua custodia.
Infine alzò le braccia in
alto, fece i segni che dovevano essere fatti recitando ad alta voce
le Parole, e con un ultimo sguardo al corpo di Enrico svanì
nell'aria.